La mozione contro la guerra
La proposta del Pd contro la guerra a Gaza: tregua e diplomazia
Pronto il testo in bilico tra l’anima filo-israeliana e quella filo-palestinese che convivono nel partito. Ma ancora una volta le opposizioni marciano divise
Politica - di David Romoli
La prima firmataria è Elly Schlein e ci sono 28 premesse nella mozione del Pd, vergata da Peppe Provenzano, che andrà oggi ai voti alla Camera, dopo il dibattito sulla crisi di Gaza chiesto dal medesimo Pd.
Tanto basta a chiarire quanto ogni parola sia stata pesata con massima cura per produrre un miracoloso esercizio di equilibrio: l’unico che possa tenere insieme, in questo momento, le anime divaricate del Pd, quella più filoisraeliana e quella che vorrebbe posizioni ancora più drasticamente critiche nei confronti di Israele.
Il rischio, e la grande paura, è che qualche deputato dell’una o dell’altra parte trovi la mozione troppo salomonica e voti anche una di quelle molto più sbilanciate da una parte o dall’altra, presentate dagli altri partiti.
La maggioranza avrà la propria mozione unitaria, decisamente filoisraeliana che se con un passaggio chiaro, ancorché fugace, sulla necessità di arrivare ai due Stati. Ma il riconoscimento del diritto di Israele all’autodifesa è confermato e non c’è nessuna richiesta di sospendere l’offensiva.
È uno dei due punti chiave. L’altro è la sospensione dei finanziamenti all’agenzia dell’Onu Unrwa, sospettata di fiancheggiare Hamas. Qui la destra chiede di “rivalutare” la sospensione, ma solo “in seguito all’esito di un’indagine seria e approfondita”. Le due mozioni centriste, di Calenda e Renzi, non si scostano molto da quella della maggioranza e di conseguenza non è affatto esclusa una qualche forma di convergenza.
Poi ci sono le due mozioni dei partiti più vicini, oggi, al Pd: il M5s e Avs. Sono antitetiche, anzi antagoniste, rispetto a quelle della maggioranza e dei centristi: decisamente schierate a favore della Palestina, con la richiesta di riconoscere subito lo Stato palestinese, uno degli aspetti più spinosi e laceranti per il Pd, nonché, in quella dei 5S, un richiamo aperto ai “confini del 1967” e uno all’accusa di crimini di guerra mossa dal Sudafrica, in quella di Avs che sorvola però sull’accusa aperta di genocidio, che il vero elemento esplosivo nella denuncia del Sudafrica.
E il Pd? Si muove con la cautela e l’equilibrio del funambolo. Chiede, come i 5S e Avs, un “cessate il fuoco umanitario” ma chiede anche “la liberazione incondizionata degli ostaggi” e calca la mano sulle responsabilità di Hamas nel massacro del 7 ottobre, peraltro condannato anche dai partiti di Conte e di Fratoianni-Bonelli.
Ma la richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese non c’è e anzi è proprio su questo fronte scivoloso che la mozione risulta quasi democristiana nel suo esercizio di equilibrio. Chiede al governo di “promuovere iniziative di de-escalation della tensione in Medio Oriente, con l’obiettivo di celebrare una Conferenza internazionale di pace che ponga fine al conflitto attraverso la soluzione politica dei due popoli-due Stati”.
Per molti, nel Pd, è troppo poco. Per alcuni troppo. Il rischio che di conseguenza qualche deputato manifesti la propria richiesta di maggiore nettezza votando una delle altre mozioni d’opposizione c’è e sarebbe un incidente politico serio che la segretaria intende evitare a ogni costo.
La tensione si è avvertita chiaramente domenica, dopo le proteste dell’ambasciatore israeliano per la serata conclusiva “filopalestinese” di Sanremo. La destra gli ha dato ragione e l’ad Rai Sergio pure. Conte e Avs si sono stretti intorno a Ghali, il cantante che con il suo urlo “stop al genocidio” ha dato fuoco alla miccia.
Il Pd si è trincerato dietro la mozione unitaria, del resto proposta e accolta a furor di deputato in assemblea e solo Fassino, pasdarano filoisraeliano, ha criticato severamente la mancanza di qualsiasi accenno al massacro del 7 ottobre. Ieri il Pd ha fatto un passo ulteriore, prendendo di mira proprio l’ad Rai, ma stando ben attento a farlo in nome “della libertà d’espressione degli artisti”, senza entrare nel merito della questione davvero spinosa.
Oggi il rischio di qualche imbarazzante fuga dovrebbe comunque essere evitato. L’ala filoisraeliana, a fronte di una tragedia di dimensioni tali da turbare anche i più schierati, si accontenterà della mozione salomonica.
Il rischio è più sul versante opposto, quello filopalestinese. Ma quella è l’area più vicina alla segretaria, spesso i suoi collaboratori diretti, ed è molto difficile facciano un passo che finirebbe per sgambettare proprio Elly.
Il problema però si ripresenterà perché una coalizione in pectore che non riesce a trovare una posizione unitaria neppure dove è oggettivamente vicina, come su Gaza, non può neppure ambire a raggiungere la meta su casi in cui la distanza è molto maggiore, come l’Ucraina o la stessa Ue. E una coalizione senza una visione comune della politica estera, soprattutto in una fase storica come questa, è una non-coalizione.