X

Alzheimer, la speranza da un nuovo farmaco: rallenta la progressione della malattia fino al 35%

Alzheimer, la speranza da un nuovo farmaco: rallenta la progressione della malattia fino al 35%

È una malattia subdola che cancella i ricordi. L’ Alzheimer oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. Non c’è ancora una cura definitiva ma dalla ricerca arrivano nuove speranze sugli anticorpi mirati alla proteina beta amiloide che potrebbero essere nuove armi per la lotta contro questa malattia neurodegenerativa. Su questa strada il lecanemab, farmaco che ha ricevuto l’approvazione accelerata da parte della Food and Drug Administration (Fda). Una nuova speranza arriva ora dal donenemab, un farmaco prodotto da Eli Lilly che ha appena diffuso i risultati incoraggianti della sua sperimentazione: il farmaco sembrerebbe in grado di rallentare fino al 35% la progressione della malattia.

Questi due farmaci hanno lo stesso funzionamento: sono anticorpi simili a quelli che l’organismo produce per attaccare i virus, ma sono progettati per attaccare la “beta amiloide” che si accumula negli spazi tra le cellule celebrali formando le placche distintive dell’Alzheimer. I dettagli scientifici su questo farmaco sono ancora pochi però l’azienda ha pubblicato i primi dati che sembrerebbero incoraggianti. Lo studio è in fase 3 TRAILBLAZER-ALZ 2, un trial clinico randomizzato e controllato con placebo, ha coinvolto circa 1.200 pazienti, uomini e donne, con un’età compresa tra i 60 e gli 85 anni e con diagnosi confermata di Alzheimer. Avevano tutti la malattia sintomatica a uno stadio precoce, caratterizzata da “decadimento cognitivo lieve e lieve stadio di demenza”.

Per valutare l’efficacia e la sicurezza del farmaco, somministrato mensilmente per via endovenosa, i ricercatori si sono basati sulla scala integrata di valutazione della malattia di Alzheimer (iADRS), un test standardizzato che misura le capacità di compiere attività quotidiane come guidare, cucinare, conversare, gestire le proprie finanze, praticare hobby e altri elementi legati alla cognizione. Il farmaco è stato somministrato ai pazienti fino a quando le placche di beta amiloide non sono scomparse dal loro cervello, monitorato tramite scansioni cerebrali. I risultati hanno fatto emergere l’impatto positivo dell’anticorpo. A 12 mesi il 47% dei pazienti trattati con l’anticorpo monoclonale non ha mostrato progressione della malattia contro il 29% del gruppo placebo. A 18 mesi nel gruppo che ha ricevuto il donanemab è stato rilevato un rallentamento del declino cognitivo del 35% e una riduzione della capacità di compiere attività quotidiane inferiore del 40% rispetto al gruppo di controllo. E inoltre il rischio di progressione allo stadio successivo è stato ridotto del 39%.

Questi farmaci sono una speranza per la lotta a questa terribile malattia ma che sembrerebbero funzionare solo se somministrati nella prima fase, prima che il cervello sia troppo danneggiato. E questo rende ancora più fondamentale la diagnosi precoce. Nei prossimi mesi il farmaco potrebbe essere approvato per un uso negli ospedali anche se c’è cautela per gli effetti collaterali insidiosi che si sono manifestati. “Questi risultati confermano la validità dell’approccio basato su anticorpi in grado di ripulire il cervello dalle placche amiloidi. Ma allo stesso tempo – ha detto Giacomo Koch, neurologo professore ordinario di fisiologia all’università di Ferrara e direttore del Laboratorio di Neuropsicofisiologia sperimentale della Fondazione Santa Lucia,. come riportato da Repubblica – fanno emergere anche un significativo numero di eventi avversi importanti, come piccoli sanguinamenti e infiammazione con rigonfiamento cerebrale”. Un rischio che molti si chiedono se vale la pena correre. “Siamo incoraggiati dai potenziali benefici clinici che donanemab può fornire, anche se, come molti trattamenti efficaci per malattie debilitanti e mortali, ci sono rischi associati che possono essere gravi e pericolosi per la vita”, spiega Mark Mintun, vicepresidente del gruppo di ricerca e sviluppo delle neuroscienze di Eli Lilly.