La lettera
“Quelle telefonate che ti riattaccano alla vita”, lettera aperta per non morire più di carcere
Giustizia - di Rossella Grasso

Il 2022 è stato l’anno orribilis per i suicidi in carcere. Una tremenda scia di morti arrivati all’inquietante numero di 84 persone che si sono tolte la vita mentre erano in custodia dello Stato. Si tratta del numero più alto dal 1990, anno in cui è iniziata la conta di queste drammatiche morti. Piccole cose, piccoli conforti, gesti, avrebbero potuto salvare la vita di tanti. Come una telefonata in un momento drammatico, in cui il conforto di una persona cara, anche se al telefono, avrebbe potuto salvare la vita di qualcuno.
Per questo motivo un gruppo di associazioni e attivisti ha dato il via a una campagna di sensibilizzazione e ha scritto una lettera aperta ai direttori penitenziari e, per conoscenza, al Capo DAP, dottor Giovanni Russo al Direttore della Direzione Generale Detenuti e Trattamento, dottor Gianfranco De Gesu chiedendo la possibilità per i detenuti di poter fare più telefonate. Il titolo della missiva è “Quelle telefonate che ti riattaccano alla vita”. Perché è proprio così: una telefonata può riconnettere le persone in difficoltà con la vita. La campagna è a cura di Ornella Favero, Direttrice Ristretti Orizzonti e Presidente Conferenza Volontariato Giustizia e Sbarre di Zucchero.
La lettera verrà inviata via PEC a tutte le direzioni degli Istituti Penitenziari italiani e anche consegnata a mano, al Presidente della Repubblica italiana Mattarella Al Ministro della Giustizia Nordio. Per sottoscrivere come singole persone o associazioni inviare adesione via mail a sbarredizucchero@gmail.com. Riportiamo di seguito il testo della lettera.
In un Paese in perenne emergenza, le uniche emergenze che quasi nessuno vuole vedere sono quelle che riguardano il carcere. Eppure, è appena finito l’anno dei record, 84 suicidi, mai così tanti, e questa è una emergenza vera perché la gente sta morendo in carcere. Sostiene uno dei massimi esperti di suicidi, lo psichiatra Diego De Leo, che certo prevenire i suicidi è molto difficile, ma almeno si può cercare di creare una forma di protezione: “Aumentare le opportunità di comunicazione e le connessioni con il mondo ‘di fuori’ non solo renderebbe più tollerabile la vita all’interno dell’istituto di detenzione, ma sicuramente aiuterebbe nel prevenire almeno alcuni dei troppi suicidi che avvengono ancora nelle carceri italiane”.
Quelle telefonate che sono un’accelerata agli affetti delle persone in carcere, scrive un detenuto: “Poter telefonare ogni giorno a casa aveva aiutato la mia famiglia a ritrovarsi. Ora ritornare da una telefonata al giorno a una telefonata a settimana di dieci minuti significa riperdersi. Questo periodo lo ricorderemo con i miei cari per esserci persi di nuovo”. Secondo l’articolo 15 dell’Ordinamento penitenziario il trattamento del condannato e dell’internato è svolto anche “agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia”. Ma quei contatti sono invece una miseria: 10 minuti di telefonata a settimana e 6 ore di colloquio al mese, che vuol dire che un genitore detenuto può dedicare al figlio al massimo tre giorni all’anno.
Il Covid ha portato ulteriore isolamento e sofferenza, e anche le prime rivolte, i morti, la paura. Ma per fortuna qualcuno ha capito che non era la criminalità organizzata a far esplodere le carceri, ma l’angoscia e la rabbia delle persone detenute, spaventate di essere lasciate sole e di non sapere nulla del destino dei loro cari. E si è trovata l’unica soluzione accettabile, dare un’accelerata agli affetti delle persone in carcere introducendo “il miracolo” delle videochiamate e la forza che ti viene dalle telefonate quotidiane. E così le persone si sono ritrovate a chiamare casa molto più spesso, in alcune carceri anche ogni giorno, e a rivedere le loro case e le famiglie lontane con le videochiamate.
Gentili direttori, non è motivo “di particolare rilevanza” l’aver chiuso il 2022 con 84 suicidi? “Radio carcere” dice che le telefonate a breve potrebbero non essere più quotidiane o comunque molto frequenti, ma noi non ci crediamo. Non vogliamo credere che i direttori, che hanno la possibilità di concedere più telefonate per motivi “di particolare rilevanza”, rinuncino a un potere, che per una volta è davvero un “potere buono”, di far star meglio le persone detenute, e soprattutto le loro famiglie. Certo, per chi ha figli minori dovrebbe restare in ogni caso la telefonata quotidiana, prevista dalla legge, ma tutti quei figli maggiorenni che per anni hanno avuto a disposizione solo dieci miserabili minuti settimanali per parlare con un genitore detenuto, perché devono essere di nuovo penalizzati dopo aver faticosamente ricostruito delle relazioni famigliari decenti con la chiamata quotidiana (o comunque molto frequente)?
Gentili direttori, non fateci tornare al peggio del passato, usate il vostro “potere” per prevenire i suicidi con quello straordinario strumento che può essere sentire una voce famigliare nel momento della sofferenza e della voglia di farla finita. Oltre alle videochiamate sostitutive dei colloqui e in numero non inferiore, lasciate le telefonate in più, in nome dell’emergenza suicidi, e anche per dare continuità a quella che la Corte costituzionale nell’ordinanza N.162/2010 definisce la “progressività che ispira il percorso rieducativo del detenuto e che è tutelata e garantita dall’art. 27 della Costituzione, attraverso la previsione della finalità rieducativa della pena”.