Il ritratto
Chi è Kemal Kilicdaroglu, il “Gandhi turco” che sfida Erdogan e fa tremare il suo sistema di potere
Esteri - di Carmine Di Niro
A 21 anni dalla sua presa del potere, prima come premier e poi come presidente, diventando poi un “Sultano” dai poteri sempre più forti e opprimenti nei confronti delle opposizioni, Recep Tayyip Erdogan rischia seriamente di perdere il potere in Turchia
Mai come nel voto previsto domenica 14 maggio il presidente è tallonato così da vicino dall’opposizione, almeno secondo i principali sondaggi. Merito di Kemal Kilicdaroglu, 74enne leader del Partito popolare repubblicano (CHP), il principale movimento d’opposizione, che negli scorsi mesi ha ottenuto con non poca fatica il sostegno di sei partiti, in particolare il partito nazional-conservatore IVY guidato dall’ex ministra Meral Aksener, tutti uniti in un fronte unico contro Erdogan.
La “Tavola dei Sei”, come è stata definita l’unione dei sei partiti di opposizione, che vanno dalla destra nazionalista al centrosinistra, si fonda però principalmente sul ruolo di Kilicdaroglu e su quello del CHP: rappresenta infatti l’eredità laica di Mustafa Kemal Ataturk, il padre della patria che l’AKP, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo del presidente Erdogan, da anni sta pian piano smantellando rendendo il Paese una “repubblica islamica”.
Non è un caso dunque se il “Gandhi turco”, come viene definito il 74enne professore per la sua somiglianza col leader indiano e per il suo morigerato stile di vita, piace in particolare ai laici e ai più giovani. Due i fronti di aperta battaglia contro Erdogan: da una parte lo stato disastroso dell’economia nazionale, con un tasso di inflazione giunto a sfiorare l’85 per cento sommato ad una profonda crisi industriale e agli effetti del devastante terremoto che lo scorso 6 febbraio ha ucciso circa 50mila persone nelle province meridionali al confine con la Siria, provocando inoltre quasi 6 milioni di sfollati; dall’altra il cambio di linea promesso sulla politica estera, dicendo addio alla politica dei “piedi in due staffe” portata avanti dal “Sultano” Erdogan, sempre in bilico tra un sostegno all’Occidente e alla Nato e dall’altra parte agli ammiccamenti a Russia e Cina.
Su quest’ultimo punto sono state chiare le parole del consigliere di politica estera di Kilicdaroglu, che ha sottolineato la volontà del leader del CHP di avere “rapporti più forti con l’Unione Europea e un nuovo patto sui migranti”.
Kilicdaroglu sarebbe anche il primo presidente appartenente alla minoranza musulmana sciita-alevita: questione questa che potrebbe essere all’esito del voto una debolezza, non condividendo alcuni dei riti dell’islam sunnita ampiamente prevalente in Turchia.
Altri ‘noti’ problemi, che in realtà in questi mesi sembrano essere stati superati da un rinnovato e inedito “attivismo” da parte di Kilicdaroglu, sono da sempre il suo essere un politico particolarmente moderato e poco carismatico: già nel 2014 decise di non candidarsi alla presidenza contro Erdogan preferendo lasciar andare avanti Ekmeleddin Ihsanoglu, intellettuale di centrodestra che perse senza appello. Tre anni dopo, dopo l’approvazione di un referendum costituzionale che garantiva a Erdogan poteri eccezionali, fu sempre il leader del CHP a spingere l’opposizione a non scendere in piazza per timore di scontri violenti. Fu però sempre il 2017 l’anno chiave per la svolta politica di Kilicdaroglu: il suo vice Enis Berberoglu fu condannato a 25 anni di carcere nell’ambito di un “processo politico” che aveva seguito l’ondata di arresti e generale repressione dopo il tentato golpe militare contro Erdogan dell’anno prima.
Kilicdaroglu come reazione condannò l’arresto del suo vice e mise in moto una “Marcia per la giustizia“, un marcia di protesta da Ankara a Istanbul, un tragitto di oltre 450 chilometri percorso a piedi. L’iniziativa attirò migliaia di persone ai comizi che Kilicdaroglu teneva ad ogni ‘fermata’, contribuendo a rendere il suo profilo meno “moderato”. Kilicdaroglu nel tempo ha continuato a organizzare simili iniziative non-violente: lo scorso anno, di fronte all’aumento shock dei prezzi dell’energia elettrica, il politico aveva smesso di pagare le bollette di casa trascorrendo una settimana senza elettricità, lavorando al buio illuminato solo dalla luce di una lampada portatile.
Sullo scontro tra Erdogan e Kilicdaroglu pesa anche la scelta del Partito Democratico dei Popoli, sinistra e filo-curdo, stimato intorno al 10% e sopra dunque la soglia di sbarramento fissata al sette, di non presentare un candidato alla presidenza invitando gli elettori a votare per il leader del CHP: una mossa che potrebbe aiutare fortemente il professore 74enne anche in vista di un possibile ballottaggio previsto il 28 maggio. In Turchia viene eletto presidente il candidato che ha ottenuto più del 50 per cento dei voti al primo turno, altrimenti si va al secondo turno tra i due candidati che hanno ottenuto più preferenze. In contemporanea con le elezioni presidenziali si svolgeranno anche quelle parlamentari: nel Paese è in vigore un sistema proporzionale in cui il numero di seggi che un partito ottiene nella legislatura di 600 seggi è direttamente proporzionale ai voti che ottiene.