Non un Paese pro Lgbti, la Rainbow Europe Map piazza l’Italia 34esima: peggio dell’Ungheria di Orbán
L’Italia fa sempre peggio. Come ogni anno in occasione della vigilia della Giornata Internazionale contro l’Omotransfobia, ILGA Europe ha diffuso la sua “Annual Review of the Human Rights Situation of Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex People in Euope”.
Il quadro che ne emerge nella tutela dei diritti umani per le persone Lgbti nel nostro Paese è desolante: l’Italia scivola nel 2023 dalla 33esima alla 34esima posizione su 49 nazioni prese in esame, cinque anni fa nella stessa classifica eravamo 32esimi.
Roma si piazza tra la Repubblica Ceca e la Georgia, dietro anche a Bosnia, Albania e Macedonia: il modello al momento appare più quello della Russia di Putin o della Turchia di Erdoğan rispetto alle grandi democrazie europee come Francia, Germania, Spagna o Regno Unito. Persino l’Ungheria di Viktor Orbán, un vero e proprio modello per la destra europea più reazionaria e conservatrice, ci è davanti nella classifica messa a punto da ILGA Europe.
Per dare un quadro delle politiche e dei diritti garantiti dai 49 Paesi presi in esame nel suo Index, ILGA Europe esamina le leggi e le politiche nazionali utilizzando 74 criteri, suddivisi in sette categorie tematiche: uguaglianza e non discriminazione; famiglia; crimine d’odio e incitamento all’odio; riconoscimento legale del genere; integrità corporea intersessuale; spazio della società civile; e richieste d’asilo.
Da parte dell’associazione arrivano anche dei suggerimenti al governo italiano al fine di migliorare la situazione legale e politica delle persone Lgbti in Italia. In particolare si raccomanda: “Adottare il matrimonio egualitaio e consentire il riconoscimento automatico dei co-genitori, affinché i figli nati da una coppia (indipendentemente dall’orientamento sessuale e/o dall’identità di genere del partner) non incontrino ostacoli per essere legalmente riconosciuti fin dalla nascita dai genitori; divieto di interventi medici su minori intersessuali quando l’intervento non ha necessità mediche e può essere evitato o posticipato fino a quando la persona non abbia fornito il consenso informato; includere nello specifico tutti i motivi SOGIESC (orientamento sessuale, identità di genere, espressione di genere, caratteristiche sessuali) nella legislazione che vieta la discriminazione in materia di salute”.
Quanto al resto della classifica, davanti a tutti resta per l’ottavo anno consecutiva la piccola Malta, seguito da Belgio, Danimarca e Spagna. Quest’ultima negli ultimi 12 mesi, guidata dal premier socialista Pedro Sánchez, ha introdotto una legge che regola il riconoscimento legale del genere (LGR) basato sull’autodeterminazione, ha vietato le mutilazioni genitali sui minori intersessuali, le cosiddette pratiche di “conversione” e la discriminazione basata sull’orientamento sessuale, l’identità di genere e le caratteristiche sessuali.