“Io sono nato in via Gramsci in un palazzo dove c’era la sezione ‘Gramsci’ del Partito Comunista Italiano. La vita a volte sa essere singolare”. Inizia così il racconto di Antonio Bassolino che in occasione del ritorno dell’Unità in edicola ha ricordato gli anni della sua militanza nel Partito Comunista Italiano e il suo rapporto con l’Unità che dice “è stato come il PCI una grande scuola, una di giornalismo l’altra di politica”. Deputato alla Camera, sindaco di Napoli e Presidente della regione Campania, Ministro del Lavoro, una vita dedita alla politica iniziata da giovanissimo con il Partito Comunista Italiano e segretario di sezione già a 16 anni proprio in quella ‘Antonio Gramsci’ sotto casa sua. Proprio come succede al personaggio interpretato da Silvio Orlando nell’ultimo film di Nanni Moretti, ‘Il Sol dell’Avvenire’.
Segretario di sezione già a 16 anni
“Si poteva essere iscritti al partito dai 18 anni in su, io ne avevo appena 16 – racconta Bassolino – Gli operai e i lavoratori della mia sezione vollero che io lasciassi la Federazione Giovanile Comunista e passassi presto al partito. Per farmi diventare segretario di sezione a 16 anni c’è stata un’autorizzazione speciale proprio perché ero troppo giovane”. Bassolino racconta che di grande ispirazione fu il suo primo incontro con Antonio Gramsci avviene con la lettura di ‘Lettere dal Carcere’, un testo che lo aveva particolarmente ispirato. E poi una scena che vedeva spesso a cui non poteva rimanere indifferente: “Nelle piazze dei comuni intorno a Napoli, la mattina presto, i caporali di allora, si mettevano a tastare i muscoli dei braccianti e in base alla forza decidevano se potevano lavorare oppure no. Sembra una cosa lontanissima nel tempo ma siamo agli inizi degli anni ’60”. Inizia così il cursus honorum di Bassolino che già alle elezioni regionali del 1970 fu eletto in consiglio regionale a soli 22 anni.
“Un giorno Giorgione Amendola, come lo chiamavamo affettuosamente, mi disse in modo un po’ brusco ma affettuoso, come faceva lui: ‘La devi smettere di fare l’operaista e pensare sempre soltanto alle fabbriche, sai che cos’è il nocelleto specializzato di prima classe? Devi andare u po’ in mezzo ai contadini, devi farti le ossa’. Lo guardai e accettai la sfida. Sono rimasto per 5 anni nella Federazione di Avellino a farmi le ossa in provincia di Avellino dove c’erano personaggi politici molto importanti, da Fiorentino Sullo a Ciriaco De Mita e tanti altri”, continua Bassolino.
Nel 1972 al Congresso Nazionale la Commissione Elettorale pensa di inserire il suo nome nel Comitato Centrale. Un passaggio fortemente voluto da Enrico Berlinguer. Bassolino che era già in Consiglio Regionale dovette dimettersi per entrare nell’importante organo del PCI. “I pochi funzionari della Federazione del PCI di Avellino rimasero malissimo a quella mia decisione perché nella Trattoria Spina, nella piazza dove c’era la sede, c’era il mio conto aperto perché lo stipendio di Consigliere Regionale era l’unico sicuro”, racconta divertito Bassolino. Nel 1979 la svolta per la carriera politica di Bassolino nella direzione nazionale del Partito. “Eravamo in 21 – ricorda – Io sedevo tra Umberto Terracini e Paolo Bufalini, il primo fu uno dei firmatari della Costituzione, due personalità straordinarie. Fu quello il girono davvero importante della mia vita politica. C’erano Longo e Berlinguer, Ingrao, Amendola, Tortorella, e tanti altri. Era un luogo di discussione vera, a volte anche forte”.
“Scendevamo in mezzo alle strade per distribuire l’Unità”
Ricorda con affetto ed emozione quando già da Segretario di sezione, tutte le domeniche mattine contribuiva alla diffusione de L’Unità. “Scendevamo in mezzo alle strade insieme agli operai della mia sezione per distribuire l’Unità – racconta – Si andava anche casa per casa. Era molto importante avere questo rapporto continuo con gli iscritti, gli elettori, i simpatizzanti. Poi man mano che passavano gli anni ho scritto tanto per l’Unità”. Ed era proprio la sede dell’Unità dove i militanti del PCI correvano appena succedeva qualcosa, come un punto di riferimento dove fare base in qualsiasi momento. E così fu anche in occasione del terremoto dell’Irpinia. Era il 23 novembre 1980 quando in serata la terra iniziò a tremare. La scossa si sentì chiaramente anche a Napoli. Bassolino era segretario regionale a Napoli del Partito Comunista Italiano. Appena vide la casa tremare spaventosamente, si diresse verso la sede dell’Unità passando per Palazzo San Giacomo dove l’allora sindaco Maurizio Valenzi era già a lavoro per capire cosa stesse succedendo.
Il Terremoto dell’Irpinia: “Corsi all’Unità, con Rocco Di Blasi e Vito Faenza partimmo subito”
Arrivò all’Unità che era poco distante da lì e si mise subito in macchina con due cronisti, Rocco Di Blasi, salernitano, all’epoca caporedattore dell’Unità a Napoli, l’altro Vito Faenza, di Aversa. “Li ricordo con grande affetto perché sono entrambi scomparsi da poco – continua Bassolino – Ci mettemmo in macchina tutti e tre e arrivammo sul posto la notte stessa del terremoto. Vedemmo cose inimmaginabili. Quando arrivammo a Caposele la piazza praticamente non c’era più. Era crollata la sezione del Partito, sotto c’erano sepolti i compagni, morti. Una cosa indimenticabile. Arrivammo a Lioni, il comune era tutto distrutto. A Sant’Angelo dei Lombardi l’ospedale si era tutto accartocciato. Con Di Blasi e Faenza capimmo subito e anche nei giorni successivi che non c’era a Roma la percezione di come stavano le cose, della catastrofe determinata dal terremoto”.
Bassolino all’epoca aveva 33 anni. Gli bastò guardarsi intorno, toccare con mano il dolore e la devastazione, per capire che gli aiuti non erano adeguati e nessuno a Roma stava comprendendo l’entità di quel dramma. “Chiamai Berlinguer – racconta – Gli dissi che le cose in Irpinia erano più gravi di quello che stavano dicendo. Berlinguer chiamò Sandro Pertini, che era presidente della Repubblica, e gli disse: ‘I miei mi raccontano che la situazione lì è molto ma molto più grave di quel che sembra’. Pertini venne ad Avellino e fece una sfuriata, come a volte faceva. E così iniziarono ad arrivare soccorsi più giusti, ci fu una grande azine di volontariato da ogni parte di Italia. Arrivò finalmente anche lo Stato che nelle prime ore era stato molto assente”.
“Durante il colera a Napoli il PCI dimostrò un legame con la realtà, con le sofferenze sociali, civili, umane”
Subito dopo il Terremoto arrivò Enrico Berlinguer. Bassolino ricorda con passione quei giorni mentre mostra le foto della visita che fece nell’alto Sele e in Alta Irpinia. “Io lo accompagnavo – ricorda – c’era anche Pio La Torre. Il PCI in quei giorni sviluppò una grande azione di volontariato che fu molto importante come era già successo a Napoli quando ci fu il colera nel 1973. Questo che ha caratterizzato la parte più bella della storia del PCI. Durante il colera ci fu un’azione capillare. Se Maurizio Valenzi nel 1975 diventa sindaco di Napoli è soprattutto grazie a due fatti. Il primo, come il partito si mosse durante e il colera nell’aiutare le persone. Il PCI allora era all’opposizione ma non si mise di fronte a un fatto grave a criticare chi governava ma si rimboccò le maniche e si mise a lavorare e cercava di unire tutti, quante più persone è possibile. E questo fu molto apprezzato in città. L’anno dopo ci fu il referendum sul divorzio. E allora, un grande fatto sociale, la salute delle persone e un grande fatto civile insieme posero le basi per la svolta del 1975”.
“Berlinguer, era come un Cristo laico che passava in mezzo alle sofferenze umane”
Tornando ai giorni subito dopo il terremoto in Irpinia, Bassolino mostra le foto delle riunioni che vennero fatte per supportare la popolazione e contribuire all’emergenza immediata e alla ricostruzione futura. In foto campeggia la scritta “Per la ricostruzione e la rinascita”. Al tavolo si vedono seduti Bassolino e accanto Berlinguer che tornò nei paesi terremotati più volte. “Mi ricordo che Berlinguer passava nei comuni distrutti e c’erano vecchie donne con gli scialli neri. Lui passava in mezzo a queste rovine, tra le persone distrutte che lo guardavano in un modo incredibile. Era come un Cristo laico che passava in mezzo alle sofferenze umane. E’ rimasto sempre questo nella mia mente e nel mio cuore”, racconta senza riuscire a trattenere la fortissima emozione che ancora prova nel ricordare quei momenti.
“Quella volta che a Mosca difesi Berlinger con un brindisi di 55 minuti”
Passò molti anni accanto a Berlinguer. “Ha avuto un ruolo particolare nella storia del PCI e del paese. Lo guardavano tutti con stima e affetto tante persone che erano anche lontane dal Partito: vedevano in lui una persona seria, che era da parte dei lavoratori e dei più deboli ed è stato uno che ha impresso svolte importanti, anche in politica internazionale”. Racconta di quella volta che Berlinguer rilasciò la storica intervista a Pansa in cui dichiarò: “Mi sento più sicuro sotto il cappello della Nato”. Lui si trovava a Mosca con una delegazione di giovani dirigenti del PCI. “Ci chiamarono al comitato centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica per un incontro con Ponomarëv che era l’ideologo ufficiale del Partito Comunista Italiano. Prese un bicchierino di Vodka, come allora si usava fare per brindare all’amicizia tra i due partiti, ma in realtà per 50 minuti sferra un inaudito attacco all’intervista di Berlinguer, alla sua politica internazionale e del Partito Comunista Italiano. Allungò la mano come per salutarmi e salutarci. Noi eravamo tutti giovanissimi. Dissi all’interprete che volevo rispondere al brindisi del compagno Ponomarëv. Presi un bicchierino e parlai per 55 minuti, 5 minuti più del compagno. Lo feci apposta, risposi punto per punto e difendendo su tutto Berlinguer e il Partito Comunista Italiano”.
“Quando fu trovato il corpo di Aldo Moro, Berlinguer disse: ‘lasciatemi solo’”
Con commozione Bassolino ricorda il bel rapporto che aveva con Berlinguer e quelle notti passate a Napoli a preparare i discorsi. “Era un uomo di poche parole, parlava con gli occhi. Una delle sciocchezze che si sono dette su Berlinguer è che era triste. Non era affatto triste, aveva un sorriso bellissimo. Uno dei ricordi che ho di lui è quello che mi raccontò il suo autista, Menichelli, un amico a lui sempre molto vicino, quando trovarono il corpo di Aldo Moro. Sono passati esattamente 45 anni da allora. Menichelli mi raccontò che fu lui a dargli la notizia. Berlinguer gli disse: lasciami solo’. L’autista e amico capì subito che si era reso conto che le Brigate Rosse avevano ucciso Aldo Moro e assieme avevano dato un duro colpo alla politica di Berlinguer. Lui aveva una grande stima di Aldo Moro e di Zaccagnini”.
“Oggi non dobbiamo guardare indietro ma in avanti. Però il cuore deve battere sempre a sinistra”
E’ impossibile ascoltare la parole di Bassolino, i suoi ricordi e quelli di una politica così strettamente legata al paese reale senza lasciarsi travolgere dalla sua passione. Viene dunque spontaneo chiedergli: oggi che ne è stato di quel rapporto della sinistra con la gente? “E’ passato tanto tempo da allora – dice Bassolino – dalla morte di Berlinguer, dal superamento del partito Comunista Italiano, siamo in un altro mondo. Penso che non dobbiamo avere la testa rivolta indietro ma in avanti. Però il cuore deve battere sempre a sinistra. E dobbiamo mantenere nel mondo di oggi una curiosità vera nei confronti di questo termine. Una curiosità per quello che avviene nella realtà, per i cambiamenti, e mantenere un contatto quotidiano con la realtà. La sinistra ha senso se in primo luogo sa rappresentare il suo referente, il mondo del lavoro, quello attuale, fatto anche da tante contraddizioni. Ma è con il mondo del lavoro che le forze di sinistra devono avere un rapporto forte. Anche perché se la sinistra è forte a casa sua, il mondo del lavoro, allora può fare tante alleanze. Se è debole a casa sua si rischia che invece di fare alleanze si diventa subalterni. Ecco perché il rapporto con la realtà è molto importante: questo significa saper fare i conti con l’astensionismo, spostare tante e tante forze. Quando nelle città vota meno del 50% dei cittadini, quando anche per il Parlamento ogni volta le percentuali dei votanti scendono sempre di più, dobbiamo avvertire un senso di allarme. Perché la politica è in primo luogo partecipazione. E allora le diverse forze di sinistra e di centro sinistra invece di cercare di prendere le une qualche voto alle altre, dovrebbero impegnarsi a spostare dalla grande area dell’astensionismo donne e uomini, ognuno per la propria parte. Questo sta di fronte a chi vuole che la sinistra mantenga un suo ruolo, oggi e domani.