Erano le 19 del 22 giugno 1983 quando Emanuela Orlandi, appena quindicenne, uscì dalla scuola di musica dove era andata a fare lezione di flauto e svanì nel nulla. Un mistero che dura da 40 anni tra archiviazioni, nuove indagini e la recente riapertura del caso da parte del Vaticano e l’apertura di una commissione di inchiesta parlamentare che si intreccia con un’altra scomparsa, quella di Mirella Gregori, scomparsa nel nulla il 7 maggio dello stesso anno, pochi giorni prima di Emanuela.
Le due storie si sono intrecciate in più momenti. Secondo quanto ricostruito dall’Ansa, ne parlò anche Alì Agca, l’attentatore di Papa Giovanni Paolo II ma non sono mai emersi elementi concreti che le due ragazzine si fossero effettivamente incontrate. Le due appartenevano a mondi diversi e non si conoscevano: Mirella Gregori, figlia dei titolari di un bar di via Volturno, a Roma, Emanuela Orlandi, figlia di un messo della prefettura della Casa pontificia e cittadina vaticana avevano in comune solo l’età. E la drammatica sorte di non tornare mai più a casa.
Già dalle prime indagini degli anni ’80 emerse che dietro quelle scomparse ci potesse essere un intrigo internazionale che coinvolgeva la Santa Sede. Il presunto rapimento finisce infatti per intrecciarsi anche con l’attentato di Agca contro Wojtyla. Il Papa interviene con diversi appelli. La presenza della Orlandi, negli anni, è segnalata in diverse località ma le rivelazioni non sono mai risultate attendibili. Negli anni si sono susseguite telefonate misteriose, lettere ai giornali e alla famiglia Orlandi dal contenuto misterioso e controverso. Ma le indagini per anni sembrano brancolare nel buio.
Nell’immediato della sparizione si ipotizza che il rapimento di Emanuela sia legato all’attentato di Giovanni Paolo II. In questa direzione vanno le telefonate anonime, tra cui quella dell’Americano (un uomo che parla con accento anglosassone, mai identificato) che afferma di essere il sequestratore. Chiede una linea telefonica diretta con il Vaticano, promettendo la liberazione di Emanuela in cambio di quella di Ali Ağca, l’attentatore del papa. L’uomo chiama casa Orlandi, e fa ascoltare ai genitori un nastro con registrata la voce di ragazza con inflessione romana, che ripete una frase, forse estrapolata da un dialogo più lungo: “Scuola: Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, dovrei fare il terzo liceo ‘st’altr’anno […] scientifico”.
Poi altre telefonate e misteriosi messaggi ma non emerge mai la certezza che la ragazza sia effettivamente ostaggio dei Lupi Grigi, l’organizzazione di cui Ağca faceva parte. Senza elementi, la prima inchiesta viene chiusa nel luglio 1997. Nel 2005 una misteriosa telefonata anonima a ‘Chi l’Ha Visto?‘ In diretta invita a vedere chi è sepolto nella basilica di Sant’Apollinare, proprio vicino all’Accademia che frequentava Emanuela. Si trattava di Enrico De Pedis, detto Renatino, boss della Banda della Magliana, ucciso nel febbraio del 1990. Com’è possibile che un criminale sia sepolto in Vaticano?
Poi la banda della Magliana, che spesso era stata tirata in ballo nella vicenda, rientra in primo piano a giugno 2008 con le dichiarazioni di Sabrina Minardi, compagna di Enrico De Pedis. Emanuela Orlandi, secondo la Minardi, sarebbe stata uccisa dopo essere stata tenuta prigioniera nei sotterranei di un palazzo vicino all’ospedale San Camillo e il suo corpo, rinchiuso in un sacco, poi gettato in una betoniera a Torvaianica. Ma neanche su questa pista emergono prove concrete. I magistrati romani, che procedono per sequestro di persona a scopo di estorsione e omicidio volontario aggravato dalle sevizie e dalla minore età della vittima, si attivano per cercare i dovuti riscontri. Ma i risultati sono scarsi. Minardi viene sentita più volte dagli inquirenti, cade in contraddizione, smentisce precedenti sue ricostruzioni del fatto finendo lei stessa sotto indagine, come riportato da Quotidiano Nazionale.
Nel marzo 2010 gli accertamenti della procura vengono estesi anche ad altri soggetti vicini a De Pedis: l’autista Sergio Virtù, i due stretti collaboratori Angelo Cassani, detto ‘Ciletto’ e Gianfranco Cerboni, detto ‘Gigetto’, e poi monsignor Pietro Vergari, fino al ’91 rettore della basilica di Sant’Apollinare, dove si trova la tomba dello stesso De Pedis. Nel maggio 2012 viene aperta la tomba di De Pedis: il corpo del boss viene identificato, ma null’altro di utile dal punto di vista investigativo emerge dall’esame dei reperti ossei ritrovati all’interno della cripta della basilica.
Al 2013 risalgono le rivelazioni del fotografo Marco Fassoni Accetti per il quale il sequestro della Orlandi ha a che vedere con l’esistenza di trame internazionali ordite alle spalle dell’allora Pontefice. Ma Accetti risulterà teste inattendibile, una consulenza psichiatrica ne certificherà forti disturbi della personalità. Una nuova speranza per la famiglia Orlandi si riaccende quando a sorpresa Alì Agca, che aveva sparato al papa nel 1981 si presenta in piazza San Pietro per portare dei fiori sulla tomba di Giovanni Paolo II. Gli Orlandi chiedono alla magistratura di interrogare l’ex terrorista turco. Pietro Orlandi, fratello di Emanuela anni prima aveva avuto un colloquio con lui in cui Agca confermava l’ipotesi del rapimento per conto del Vaticano e faceva il nome di un cardinale, che però, avrebbe smentito tutto parlando con lo stesso Orlandi. La procura romana respinge la richiesta: Agca è ritenuto “soggetto inattendibile” per aver reso più volte dichiarazioni sul caso, sia pubbliche che in sede processuale, che si sono rivelate “infondate” e “scarsamente credibili“.
Nel 2015 i magistrati brancolano nel buio e decidono di chiedere l’archiviazione dell’inchiesta poiché “da tutte le piste seguite e maturate sulla base di dichiarazioni di collaboratori di giustizia e di numerosi testimoni, di risultanze di inchieste giornalistiche e anche di spunti offerti da scritti anonimi e fonti fiduciarie, non sono emersi elementi idonei a richiedere il rinvio a giudizio di alcuno degli indagati“. Una conclusione recepita prima dal gip e confermata poi dalla Cassazione.
Nell’ottobre 2018, un altro giallo: il Vaticano dà il via libera all’analisi del Dna su alcune ossa ritrovate durante dei lavori nella sede della Nunziatura Vaticana di Via Po a Roma. Ma le indagini accertano che non ci sono legami né con Emanuela Orlandi né con Mirella Gregori, le analisi diranno che si tratta di reperti di epoca romana.
L’11 luglio 2019 si effettua un’ulteriore ispezione ma stavolta in Vaticano, in due tombe del Cimitero Teutonico, quelle delle principesse Sofia di Hohenlohe-Waldenburg-Bartenstein e Carlotta Federica di Meclemburgo-Schwerin. Al loro interno non vengono però rinvenuti resti umani; tuttavia, nell’adiacente edificio che ospita il Collegio Teutonico, è stata individuata una grande quantità di ossa umane, che raccolte in ventisei sacchi. Gli accertamenti hanno escluso la presenza dei resti di Emanuela tra i reperti. Le perizie concludono che i reperti sono databili a epoca anteriore alla scomparsa della ragazza. Prima di Natale, è arrivata la proposta di legge per l’avvio di una commissione di inchiesta parlamentare poi messa in atto.
Da 40 anni varie indagini, illazioni, depistaggi, hanno portato ad un’altalena di speranze e delusioni. Ma la famiglia non si è mai arresa, in prima linea il fratello di Emanuela. “E’ un sacrosanto diritto avere verità e giustizia, non ci rinunceremo mai“, ripete da anni Pietro Orlandi.