Lo studio
“La solitudine può uccidere come uccidono le sigarette”
Salute - di Redazione
La solitudine può uccidere come il fumo: può portare ad aumentare il rischio di morte prematura del 30%. È in questi termini che Vivek Murthy, capo operativo del Public Health Service Commissioned Corps e principale portavoce in materia di sanità pubblica del governo federale degli Stati Uniti, ha descritto rischi ed effetti collaterali di solitudine ed isolamento. Come qualcosa di letale, di mortifero addirittura. E anche l’Istituto Superiore di Sanità italiano conviene sullo stesso punto.
“La solitudine non è di per sé una condizione che generi effetti negativi sulla salute ma può determinarli quando viene subita e percepita con angoscia; quando genera la sensazione di non avere nessuno cui importi di noi, nessuno su cui fare affidamento”, si legge anche sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità. “Se si prolunga nel tempo, la solitudine così intesa non fa bene alla salute e può portare all’innalzamento del livello del cortisolo, il cosiddetto ‘ormone dello stress’. Se prodotto in maniera continuativa, il cortisolo può provocare uno stato di infiammazione dell’organismo e causare la comparsa di malattie persistenti nel tempo (croniche) come il diabete di tipo 2 o la pressione arteriosa alta (ipertensione)”.
Murthy ha redatto una relazione di 81 pagine che rimandano a studi che da anni collegano la solitudine a patologie cardiache, immunitarie e psichiatriche, favoriscono l’abuso di alcol e sostanze stupefacenti, alterano il ritmo del sonno e dell’appetito e predispongono allo stress cronico. Circa la metà degli americani va incontro a tale condizione secondo la ricerca. “Durante gli anni nei quali mi sono dedicato alla cura dei pazienti, la patologia più comune che ho riscontrato non sono stati i disturbi cardiovascolari o il diabete. È stata la solitudine”, aveva osservato già in passato Murthy che è stato anche medico e consigliere per la salute dell’ex Presidente statunitense Barack Obama.
La solitudine insomma è una condizione, un sentimento comune a molte persone. “È come la fame o la sete. È una sensazione che il corpo ci invia quando qualcosa di cui abbiamo bisogno per la sopravvivenza viene a mancare. Milioni di americani lottano nell’ombra. Non è una cosa giusta. Ecco il motivo per cui ho lanciato l’allarme, per fare luce su un problema a cui troppe persone vanno incontro”. Una sorta di vero e proprio appello insomma. A differenza della depressione, la solitudine non può trovare il conforto in una terapia farmacologica. Più che una malattia è una condizione umana. Lo ha fatto notare anche Holly Swartz del Department of Psychiatry dell’University of Pittsburgh School of Medicine in un editoriale pubblicato sull’American Journal of Psychotherapy.
“Fortunatamente – commentava a Il Corriere della Sera Euro Pozzi, psichiatra e psicoterapeuta dell’Associazione Psicoterapia e Scienze Umane, in pieno lockdown da coronavirus nell’aprile 2020 – nella società italiana sarebbero presenti i più efficaci anticorpi nei confronti della solitudine: le associazioni, il volontariato, le parrocchie, i sindacati, i bar, le famiglie, le polisportive e le tante altre forme di aggregazione sociale in cui trovare la cura migliore: la solidarietà. Forse è anche il persistere nella nostra cultura di queste forme di aggregazione uno dei fattori che mette il nostro Paese relativamente al riparo dal fenomeno del suicidio, collocandoci, con un tasso di suicidarietà di 6 su 100 mila, a un orgoglioso penultimo posto di questa triste graduatoria europea (tasso medio europeo 11 su 100 mila)”.