La battaglia green
Processo all’inquinamento e all’Eni, gli ambientalisti fanno causa a ‘Big Oil’: primo caso di contenzioso climatico in Italia
Ambiente - di Redazione
Si tratta di fatto della prima climate litigation in Italia, la prima azione legale civile contro una ‘Big oil’, in questo caso l’Eni, per “violazione dell’Accordo di Parigi sul clima”.
È quella promossa da Greenpeace, ReCommon e dodici cittadini italiani, tutti insieme contro l’azienda italiana (partecipata dallo Stato) e accusata sostanzialmente di danneggiato il pianeta e i loro diritti.
Il modello di iniziativa legale è quello che fece scalpore nei Paesi Bassi, con l’azione promossa da Friends of the Earth, Greenpeace e oltre 17mila cittadini contro Shell: nel maggio 2021 un tribunale locale stabilì in primo grado che l’azienda petrolifera britannica era responsabile di aver danneggiato il clima del pianeta e che per questo doveva impegnarsi concretamente per ridurre le emissioni e rivedere la propria strategia industriale.
Nell’atto di citazione gli ambientalisti italiani e i 12 cittadini, tutti residenti in aree che stanno subendo forti trasformazioni a causa del riscaldamento globale, chiedono al tribunale di Roma (con prima udienza che potrebbe esserci il 30 novembre prossimo) “l’accertamento del danno e della violazione dei loro diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata”. Doppia invece la richiesta delle associazioni ambientaliste: da una parte l’accertamento dei danni ambientali e climatici a cui Eni ha contribuito negli ultimi decenni; dall’altra spingere l’azienda ad adottare una nuova strategia industriale in linea con gli obiettivi climatici stabiliti a livello europeo.
🔴 BREAKING! Abbiamo avviato una causa civile contro ENI. Insieme a @Greenpeace_ITA e singoli cittadini portiamo il Cane a 6 Zampe in tribunale per fermare i suoi piani di distruzione del clima! #LaGiustaCausa pic.twitter.com/MbxSIFTVOu
— ReCommon (@Recommon) May 9, 2023
Proprio alla luce della partecipazione pubblica in Eni, la causa presentata al tribunale di Roma è diretta anche al ministero dell’Economia e delle Finanze e a Cassa depositi e prestiti, entrambi azionisti della società. Secondo Greenpeace e ReCommon Eni sarebbe stata gestita negli ultimi anni in violazione dell’Accordo di Parigi ratificato anche dall’Italia, che impegna i Paesi firmatari a ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.
Il focus degli ambientalisti riguarda l’attuale strategia di decarbonizzazione di Eni, che sarebbe “palesemente in violazione con gli impegni presi in sede internazionale dal governo italiano e dalla stessa società”. Ma gli attivisti giudicano “inaccettabile” anche che, a fronte degli extraprofitti realizzati nel corso del 2022 causa crisi energetica, l’azienda “continui a investire nell’espansione del suo business fossile, a danno del clima e delle comunità locali che in tutto il mondo subiscono gli impatti del riscaldamento globale”.
Ovviamente l’azienda del ‘Cane a sei zampe’ guidata da Claudio Descalzi ha risposto alle accuse definendole “infondate” e difendendo l’operato e la propria strategia di trasformazione e decarbonizzazione “che mette insieme e bilancia gli obiettivi imprescindibili della sostenibilità, della sicurezza energetica e della competitività del Paese”, ha spiegato un portavoce di Eni.