La polemica
Gratteri sbugiardato dal giudice Sabella: per il procuratore il 41 bis non sarebbe una Guantanamo ma “un pentitificio”
Giustizia - di Tiziana Maiolo
“Il 41 bis non è un sistema penitenziario tipo Guantanamo”. Le immagini ci rimandano un Nicola Gratteri in maglioncino blu, dedito all’attività di “firmacopie” dell’ennesimo libro sempre uguale, che deve dare parecchia soddisfazione all’editore Mondadori, vista la quantità di tour promozionali che il giro propagandistico dell’antimafia militante garantisce a ogni uscita al prestigioso autore. Il procuratore capo di Catanzaro non dimentica però il proprio ruolo.
Che è politico, forse suo malgrado. Perché lanciare un allarme come quello dei giorni scorsi dal carcere di Opera, e non solo, mentre raccoglieva cittadinanze onorarie in qualche piccolo paese lombardo, suona come attacco al governo Meloni, ma anche a quello presieduto da Mario Draghi e chissà quale altro. “Da un po’ di anni – ha detto il procuratore – è in corso una sorta di smobilitazione della legislazione antimafia e del sistema carcerario, partendo dal mantra che le mafie non ci sono più, Cosa Nostra non c’è più, e che quindi non c’è più pericolo e bisogna abolire il 41 bis”. Sempre senza rendersene conto, crediamo, mentre è concentrato sul proprio ruolo di scrittore, colui che sperava di eguagliare e forse superare Giovanni Falcone con il maxiprocesso in corso nell’aula-bunker di Lamezia, ha tirato stilettate in un colpo solo, più che ai governi, alla Corte Costituzionale e alla Cedu. Cioè ai due organismi che hanno messo in discussione la legittimità di un certo tipo di detenzione, quella del carcere impermeabile che nel tempo è diventata sempre più forma di tortura. Non più solo isolamento per impedire contatti diretti del detenuto con il mondo esterno, ma una serie di regole finalizzate solo a fiaccare la resistenza umana fino a lobotomizzare la mente e uccidere il corpo.
Ma il dottor Gratteri sembra quasi scherzarci su, quando arriva a sostenere che in fondo l’isolamento, e il poter vedere i figli solo dietro a un vetro e tutte le altre limitazioni sono solo carcere. Come quello di tutti gli altri, sia del circuito alta sicurezza che di quello ordinario. E certo, non era lo stesso procuratore, del resto, che aveva definito l’istituto di Bollate “uno spot”? E non era lo stesso magistrato, nel 2014, quando era ancora procuratore aggiunto a Reggio Calabria e quando era Presidente del consiglio Matteo Renzi, colui che aveva proposto di riaprire la struttura dell’Asinara? È impossibile dimenticare quel che accadeva negli anni novanta alla famigerata sezione Fornelli del carcere speciale dell’isola, e neanche le tante denunce per cui l’Italia è stata anche condannata in Europa per comportamenti disumani e degradanti. La bella isola degli asinelli bianchi, che sarà restituita alla natura e ai sardi nel 1997 dal governo Prodi, era per l’appunto chiamata la Guantanamo italiana. Le torture furono accertate, e il dottor Gratteri, che era stato incaricato dal governo Renzi, insieme ai magistrati Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, di presentare un progetto di riforma del sistema penitenziario, non poteva ignorarlo. Per fortuna il sogno di riaprire la piccola Guantanamo svanì in seguito alle proteste della Sardegna intera. E all’Asinara son tornati gli asinelli. E magari le lucciole, care a Pier Paolo Pasolini.
Ma la dichiarazione più grave del dottor Gratteri, sempre dovuta alla distrazione del suo impegno di scrittore, immaginiamo, è ancora un’altra. E riguarda la stessa finalità dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, che fu istituito nel 1992, dopo le uccisioni di giudici Falcone e Borsellino, con lo scopo di impedire che i boss di Cosa Nostra potessero, tramite i contatti con l’esterno del carcere, continuare a dare ordini e commissionare stragi. Secondo il procuratore Gratteri invece “chi è al 41 bis sceglie di continuare a stare lì perché ha la possibilità collaborando, di uscire subito”. Quindi il 41 bis sarebbe il pentitificio? Sarebbe questo lo scopo del carcere duro?
Lasciamo la parola al dottor Alfonso Sabella, oggi giudice e ieri pm “antimafia” a Palermo, intervistato da “La Notizia” proprio sulle affermazioni del procuratore Gratteri. “Il 41 bis – dice – tutto può essere tranne che uno strumento per indurre la gente a collaborare, quello equivarrebbe a dire che il 41 bis è tortura e darebbe ragione a chi vuole abrogarlo”. E poi ancora, dopo aver sostenuto che se quello fosse lo scopo quell’articolo sarebbe “incostituzionale”, la stoccata finale. “Abbiamo troppi detenuti al 41 bis, quando c’erano le guerre di mafia e lo Stato in ginocchio erano 600, oggi siamo oltre 800, un numero decisamente elevato. Chi usa il 41 bis come mezzo per ottenere confessioni snatura quello che volevano Falcone e Borsellino..”. Se lo dice lui.