È nella pratica concretissima di una campagna elettorale difficile come quella in corso che Elly Schlein tocca con mano quali difficoltà dovrà affrontare nel giro di pochi mesi. Bisogna mettere insieme un polo competitivo e abbastanza coeso da convincere elettori resi scettici dall’esperienza non in tempo per le politiche, tra 4 anni salvo imprevisti, ma già per le cinque elezioni regionali dei prossimi mesi. “Possiamo aspettare le europee ma subito dopo il nodo andrà sciolto”, dicono dal gruppo Pd al Senato. Il responsabile dell’organizzazione Igor Taruffi è più caustico: “Non possiamo restare in stand-by fino alle europee”.
Difficile persino a dirsi. Difficilissimo a farsi. Il vero risultato brillante che l’elezione di Elly Schlein ha garantito già di per sé al Pd è stato recuperare in tempi fulminei una centralità assoluta nell’opposizione. Non era affatto scontata. Al contrario, nel corso del lunghissimo congresso del Pd, in quei 6 mesi di paralisi, il M5S di Conte, con la sua ipoteca sull’ala sinistra dell’elettorato, sembrava destinato a occupare quel ruolo. L’irruzione a sorpresa della outsider ha sconvolto tutta la strategia sbilanciata a sinistra di Conte e precipitato di colpo il M5S in postazione marginale. Era già evidente prima del voto di domenica scorsa, che ha però confermato con il peso di un test elettorale vero, non più di un sondaggio settimanale. Detenere anche saldamente una posizione centrale, però, non equivale affatto ad avere in pugno le redini. A maggior ragione quando si tratta di guidare cavalli selvaggi e imprevedibili.
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Il gioco di Conte è spregiudicato, passa per una competizione serrata, senza esclusione di colpi, con il partito col quale è comunque destinato prima o poi ad allearsi. In questa campagna elettorale “l’avvocato del popolo” ha rifiutato di dividere il palco con il Pd anche nelle poche piazze dove i due partiti si sono presentati insieme, non ha risposto alle esortazioni unitarie di Schlein per i ballottaggi, ha tenuto sempre abbastanza alto il livello della polemica. Probabilmente, anche se ancora non è certo, i due leader si faranno vedere insieme nel comizio conclusivo a Brindisi ma significherà ben poco: quasi solo un atto dovuto. Tutto lascia credere che il leader dei 5S si stia affidando ancora una volta al consiglio di Marco Travaglio, che indica una strada precisa: mantenere un rapporto molto competitivo con il Pd salvo poi stringere un’alleanza essenzialmente solo elettorale contro la destra. Che una simile alleanza tra rivali basti a controbilanciare una destra che, pur con tutte le sue divisioni, ha una visione di società omogenea e comune è tutto da verificarsi. È anzi molto improbabile.
Conte, inoltre, è deciso a giocare una sua partita su tutti i fronti. L’astensione nel voto per la nomina di Roberto Sergio alla carica di ad Rai è esemplare: “l’avvocato del popolo” tratta per piazzare il suo uomo, Giuseppe Carboni, alla direzione di Rainews. Sia il Pd che AVS sono convinti che il gioco si ripeterà, in formato macroscopico, nella partita delle riforme istituzionali. Il leader dei 5S non arriverà a votare a favore dell’elezione diretta del premier ma farà in modo di smarcarsi, evitare il fronte comune col Pd, portare avanti una sua trattativa più o meno esplicita.
“Una cosa è il M5S e un’altra Conte, che fa solo il suo gioco”, commentano a palazzo Madama ed è vero. Nei confronti di un leader inarrivabile, che non risponde al telefono, evita il confronto, si rende irreperibile, i mormorii ci sono eccome. Però pensare che un Movimento reduce dal frullatore impazzito della scorsa legislatura faccia ripartire la giostra mettendo in discussione la leadership assoluta di Conte è quasi fantapolitica.
Sul fianco destro, quello dell’ex Terzo Polo, il quadro è anche più desolante. La rissa da talk show tra i due ex alleati prosegue. Si scambiano improperi, accuse e scortesie. “Quella di Calenda è una questione non morale ma umorale”, ironizza l’ex premier. “Renzi vuole rompere i gruppi parlamentari e ne prendiamo atto. Però sabato i nostri parlamentari emiliani saranno in Emilia e se Iv conferma la riunione del gruppo se la fanno tra di loro” replica imbufalito l’ex ministro. La capogruppo al Senato Paita ha spostato la riunione da sabato a lunedì sera ma lo showdown è solo rinviato. Con la divisione Renzi manterrà il suo gruppo anche a palazzo Madama mentre Calenda, salvo improbabile ricomposizione in extremis, dovrà confluire nel Misto. Alla Camera invece entrambi i divorziati, con le deroghe, dovrebbero poter disporre del gruppo. Ma lo sfaldamento di Azione prosegue e accelera. Ieri è passato a Iv il segretario provinciale di Firenze Baccari e si sono dimessi 38 esponenti del direttivo provinciale di Modena. Renzi si avvia così a disporre di una forza autonoma e corsara che cercherà di usare prima di tutto contro il Pd appoggiando anche la riforma costituzionale.
Questo è il rompicapo che la leader del Pd dovrà provare a risolvere in tempo per mettere in campo prestissimo una vera coalizione. Perché, come commenta un dirigente del Pd, “Se anche alle europee arrivassimo al 28%, poi contro una destra unita cosa ci facciamo?”.