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Il dramma della droga in carcere, la garante: “Non hanno nulla da fare, bisogna agire”

Il dramma della droga in carcere, la garante: “Non hanno nulla da fare, bisogna agire”

Non ci gira intorno e parla chiaro: “In carcere purtroppo circola la droga. È questo un problema palese e diffuso in tanti istituti penitenziari italiani”. Emanuela Belcuore, garante dei detenuti della provincia di Caserta non ci sta a rimanere in silenzio di fronte a un vero e proprio dramma umano che crea reclusi spesso assopiti e non presenti a sé stessi. E non solo. “La droga in carcere genera un sacco di problemi, così mi è stato riportato da diversi familiari che mi supplicano aiuto– dice – persone spente o alterate, indebitate e che chiedono alle famiglie i soldi per pagarsi la dose. E poi capitano anche le liti e gli scontri sempre per colpa delle sostanze stupefacenti. Non si può far finta di nulla”.

La garante racconta l’ultimo episodio a cui ha assistito: “Un detenuto, ex tossicodipendente, dopo una lunga trafila burocratica, è stato trasferito dal carcere in una comunità – racconta – non aveva con se la cartella clinica, ma ancora più grave è il fatto che è arrivato in crisi d’ astinenza: il detenuto era in carcere da anni, è evidente che si è drogato abitualmente lì. Un fatto gravissimo”. Per la garante non è un problema di un carcere specifico ma diffuso a livello nazionale. Anche alcune delle rivolte balzate alle cronache potrebbero avere questa spiegazione.C’è bisogno di maggiori controlli, con perquisizioni garantiste e mai pregiudizievoli, non solo tra i detenuti ma tra tutti coloro che entrano in carcere. La droga non arriva solo con i droni ai detenuti ma potenzialmente da chiunque fa ingresso negli istituti di pena”. Un traffico che danneggia tutti, rende la vita in carcere ancora più drammatica e fa emergere un altro problema quello dell’ozio. “I detenuti in carcere devono obbligatoriamente fare attività trattamentale, studiare e lavorare”– continua la garante.

Per la garante le persone in carcere devono essere assistite da psicologi, psichiatri, perché spesso sono proprio gli agenti della polizia penitenziaria a sostituirsi a queste figure professionali che mancano. Spesso ci si aggrappa al “carrello della felicità”, quello fatto di ansiolitici e farmaci calmanti di cui si finisce per far abuso e spaccio. E non sono rari i casi di persone che proprio in carcere hanno iniziato a fare uso di stupefacenti rovinando la loro vita e quella delle famiglie fuori. “Bisognerebbe incrementare obbligatoriamente le attività trattamentali – continua Belcuore – incentivare le proposte dei volontari, attività sportive, qualsiasi progetto che però non sia solo sulla carta. Ogni detenuto dovrebbe avere tante ore al giorno di attività trattamentale. Altrimenti avremo sempre un esercito di assopiti che cerca il modo per tirare avanti”. Belcuore pensa proprio a una proposta di legge per istituzionalizzare tutto questo.

Forse nel carcere manca anche quel po’ di umanità e di ascolto che renderebbe la vita delle persone recluse più sopportabile. Secondo la garante Belcuore, un esempio è quello che sta succedendo a Santa Maria Capua Vetere, un carcere diventato noto per la “terribile mattanza” ma che recentemente sta vivendo un vero e proprio cambio di rotta. “In quel carcere ci sono ancora tanti problemi – ha detto – ma devo fare un plauso speciale alla direttrice Donatella Rotundo che con i miei occhi ho visto prodigarsi per i detenuti, anche fuori orario di lavoro e nei fine settimana. Si fa carico dei loro problemi cercando di risolverli con i pochi mezzi che ha. Ascolta le esigenze di tutti ed è riuscita a creare un clima di stima e fiducia, puntando su tante progettualità”.