Don Gallo era un prete. Era molto, molto di più. Ma ci teneva a rimanere un prete. La portata eretica delle sue azioni e del suo pensiero ha rischiato di essere più volte derubricata ad eccentrica o addirittura ridicola parodia di un comunista, o di un anarchico, che aveva sbagliato Chiesa. Se questo fosse prevalso, ma così non è stato, se ne sarebbero avvantaggiate le gerarchie dei due poteri terreni con i quali “il Gallo”, come lo chiamavamo noi, si confrontava molto aspramente: lo Stato e la Chiesa. Il tentativo di normalizzare, banalizzandola, la parabola di Don Gallo, è sempre avvenuto da due fronti. Uno, facilmente intuibile, rappresentato dal potere nelle sue varie declinazioni.
Il prete di Genova ha costruito la sua opera sempre contro chi comandava. Senza mai essere un estremista, ha abbracciato in maniera radicale il tema degli ultimi, dei poveri, di coloro che erano espulsi dal consesso dei bravi e buoni. Profondamente democratico – si vedeva il piglio di uno che la democrazia l’aveva vista nascere dal conflitto, sudata metro per metro – agiva secondo il principio che solo la tensione permanente, viva, tra i governati e i governanti, avrebbe potuto preservarla.
A volte scattava come una molla, in automatico, per schierarsi a prescindere con la parte più debole di questo conflitto, i governati, come per dire intanto mi metto qui, poi apriamo la discussione.
Un conflitto che secondo Don Gallo, era non solo obbligato di fronte a tanta ingiustizia, ma anche sano e salvifico. Bisognava contribuire a farlo durare senza che una parte, quella dotata della legge, della forza e dell’egemonia dei luoghi comuni dominanti, spazzasse via rapidamente l’altra, annientandola. L’altro fronte era la Chiesa, o meglio la sua struttura gerarchica, per niente contenta di come Don Gallo interpretasse la sua missione.
Mettendo in discussione anche il concetto di obbedienza, il prete di Genova affermava nel concreto che c’era qualcuno più in alto del Papa, da seguire, e che la Chiesa se ne stava dimenticando da troppo tempo. Ed ecco allora, spesso, il tentativo delle alte sfere, di occultare la portata evangelica dell’opera di Don Gallo: è stato tutta la vita un semplice prete, mai celebrato se non nel momento in cui la sua bara ha varcato la soglia del Duomo di Genova, portata a spalla dai suoi ragazzi. Il fatto che Don Gallo abbia sempre voluto rimanere un prete, conferisce una potenza irriproducibile altrimenti a ciò che ha fatto. Perché è proprio l’eresia la sua forza.
Eretico, cioè qualcuno che sceglie mettendo in discussione i dogmi rivelati è anche l’accusa che ha portato Gesù alla condanna a morte. L’eretico è dunque un errore, un’anomalia, secondo ciò che è già scritto e stabilito. Ma dunque Don Gallo, come altri suoi predecessori illustri, pensiamo a Don Milani, se avesse smesso di fare il prete avrebbe fatto esattamente ciò di cui il buon senso, rappresentato da ciò che è stabilito e deve essere immutabile, aveva bisogno per neutralizzarlo. Per questo figure come la sua capaci di attraversare molti mondi, e di farlo rompendone barriere e confini, sono indispensabili. Ma sono indispensabili restando ciò che in primis vogliono continuare ad essere, lì dove sono e senza permesso.
A dieci anni dalla scomparsa di Don Gallo, riflettendo su ciò che ha fatto e detto nella sua vita, come non pensare oggi al pontificato di Bergoglio? Quella chiesa in uscita di cui parla il Papa, attirandosi spesso le ire dell’ortodossia, come non vederla anticipata nell’opera e nell’azione di questo straordinario prete di strada? E come non scorgere sulla sua presenza e protagonismo nei movimenti e per i movimenti che si battevano per un altro mondo possibile, una suggestione profonda anche sul lato spirituale della contesa, fatto di quell’amore viscerale che non è compassione rispetto alla condizione dell’altro, ma indignazione che si trasforma in azione, radicale, immediata, irriducibile?
Questo aspetto di bisogno di trascendenza rispetto alla dimensione materiale del conflitto, nel mondo del post-umano, è invece molto umano. Ma forse essere più umani nel mondo dominato dal post-umano, non è una forma di resistenza interessante da indagare?
Don Gallo, ma anche il Papa, al contrario nel mondo religioso vengono attaccati perché sono troppo umani. La critica che viene fatta è quella relativa proprio alla perdita del soprannaturale, del mistico, come dimensione principale in favore di una radicalizzazione della Dottrina sociale della Chiesa, che porta preti e suore ad occuparsi prevalentemente di cose umane, tipo la lotta alle ingiustizie o contro il potere. E’ esattamente dentro questa contraddizione, questo cortocircuito tra spirituale e materiale, tra laico e religioso, tra mistico e reale, che si giocano le grandi sfide del presente. E ancora una volta Don Gallo ci suggerisce una possibile strategia per cercare di non perdere la bussola: la pratica. Abitare il mondo e non attraversarlo semplicemente. Diventare l’altro e non semplicemente guardarlo da lontano. Praticare concretamente quello che si crede giusto, e non semplicemente rivendicarlo. Trasformando ciò che prima chiamavamo militanza, in una forma di vita e di pensiero. Creando quel dualismo di poteri, quel contropotere antidoto all’autoritarismo del mercato e del pensiero unico, non autorizzato, sano e salvifico. Quell’eresia rispetto a ciò che è scritto, che caratterizza le grandi rivoluzioni culturali e sociali, e non l’amministrazione del ruolo che ad ognuno è affidato o in cui ognuno trova le sue facili certezze.
Il Gallo oggi sarebbe a bordo di una nave del soccorso civile in mezzo al Mediterraneo. O ad organizzare la fuga da un lager in Libia di un fratello o di una sorella migrante. O sarebbe con i ragazzi che spalano fango in Romagna, o con le attiviste e attivisti in Piazza del Mondo a Trieste, a curare le ferite dei piedi di coloro che arrivano dalla rotta balcanica. Il Gallo sarebbe al fianco di Ultima Generazione, i giovanissimi che si battono contro la distruzione del pianeta dove tutti viviamo. Don Gallo c’è, e nella storia, c’è sempre stato. E fortunati coloro che lo incontreranno, ancora.