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“Kissinger profeta di pace? Vietnam e Cile non possono essere liquidati come errori”, Stille racconta i 100 anni dello ‘stratega’ Usa

“Kissinger profeta di pace? Vietnam e Cile non possono essere liquidati come errori”, Stille racconta i 100 anni dello ‘stratega’ Usa

Vada che viviamo in un eterno presente in cui la memoria storica è volatile. Ma arrivare al punto di idealizzare Henry Kissinger e dipingerlo come una sorta di profeta di pace, beh, questo è davvero troppo”. Ad affermarlo è Alexander Stille. Giornalista e scrittore statunitense, Stille collabora con prestigiose testate come The New Yorker e The New York Times, e insegna giornalismo alla Columbia University. Tra i suoi libri, tradotti in Italia, ricordiamo La forza delle cose, Un matrimonio di guerra e pace fra Europa e America (Garzanti); La memoria del futuro. Come sta cambiando la nostra idea del passato (Mondadori); Citizen Berlusconi. Il cavalier miracolo. La vita, le imprese, la politica (Garzanti); Cinque famiglie ebraiche durante il fascismo (Garzanti); Nella terra degli infedeli (mafia e politica nella prima repubblica) (Mondadori).

Riandando indietro nel tempo, al 1969, Stille ricorda una considerazione di Kissinger rivolta alla guerra in Vietnam: “Abbiamo combattuto una guerra militare; i nostri oppositori ne hanno combattuta una politica. Nel processo, abbiamo perso di vista una delle massime cardinali della guerriglia: vinci se non perdi. L’esercito convenzionale perde se non vince”. Una riflessione sulla guerra asimmetrica che potrebbe essere riproposta oggi sul fronte russo-ucraino.

In occasione dei cento anni di Henry Kissinger, il 27 maggio prossimo, sembra in atto, almeno qui in Italia, una rivalutazione della sua figura, una sorta di beatificazione laica di una personalità certamente di spessore che ha significato molto nella storia degli Stati Uniti e a livello internazionale. Sono tutte rose e fiori?
Rispetto a certe posizioni oltranziste sull’intervento in Iraq, la realpolitik di Kissinger sembra una controtesi utile. Ma non per questo vanno dimenticati o messi tra parentesi quelli che non possono essere liquidati come “errori” nella sua gestione della politica estera americana.

A cosa si riferisce?
Ha prolungato la guerra in Vietnam per diversi anni, ha pilotato l’invasione della Cambogia, una tragedia che quel paese sente tuttora, ha dato il beneplacito al colpo di stato in Cile (al tempo Kissinger era segretario della Sicurezza nazionale del Repubblicano Richard Nixon e figura apicale dell’establishment americana, n.d.r.) oltre che avallato se non addirittura sostenuto e coperto a livello internazionale le dittature militari in America latina. Questi sono molto più di “errori”. Sono tutti pezzi, molti dei quali insanguinati, di una visione della politica estera americana della quale Kissinger fu uno dei massimi artefici. Lo spessore della persona non si discute. Ma la storia non può essere piegata a narrazioni di comodo, che calpestano una verità storica e offendono la memoria di milioni di persone che di quella politica sono state vittime. L’idealizzazione di Kissinger mi pare davvero fuori luogo. È meglio consegnarlo al suo posto storico e valutarlo nel bene e nel male ma certamente non indicarlo come modello.

Perché a suo avviso c’è oggi il tentativo di raccontare Kissinger come profeta di pace?
Mi è difficile rispondere a questa domanda. Bisognerebbe essere nella testa di coloro che portano avanti questa idealizzazione. Non credo che queste persone non conoscano la storia. Sarebbe stato intellettualmente più onesto farsi carico anche delle pagine più oscure della biografia politica di Kissinger, forzando magari una loro storicizzazione, ma far finta che non esistano è, ripeto, una forzatura difficile da giustificare. La società ha la memoria corta e in più in un mondo senza eroi si cerca forse un eroe .Per tornare al presente, forse si cerca una possibile soluzione ad una situazione molto brutta in Ucraina. Si vorrebbe pensare ad una fine di questo conflitto. Le semplificazioni non aiutano mai a inquadrare la realtà delle cose né a dare conto delle posizioni di personalità complesse come è Henry Kissinger. Neanche Kissinger arriva al punto di sostenere che una pace fondata sulle determinazioni di Vladimir Putin sia una vera pace. Si capisce la volontà di trovare una soluzione ad una guerra che sta distruggendo un paese e che rischia di durare ancora a lungo e di estendersi in Europa. Di questa necessità Kissinger sembra farsi carico, il che è apprezzabile. Ma ciò, lo ribadisco, nulla toglie ad una valutazione complessiva del suo lunghissimo operato.

Quanto c’è oggi ancora del pensiero di Henry Kissinger nei circoli che contano negli Stati Uniti?
Più che del pensiero diretto di Kissinger, parlerei dell’influenza da lui esercitata sulla scuola dei cosiddetti realisti, portava avanti da persone come il professor John Meirsheimer e altri pensatori. Costoro, i realisti, hanno una visione del mondo che si rifà in qualche modo ai dettami praticati da Kissinger quando era segretario di Stato e successivamente. I realisti kissingeriani esercitano una indubbia influenza sulla politica estera americana, e non solo nei riguardi dei Repubblicani. Loro, ad esempio, hanno sostenuto la necessità di rivedere l’appoggio acritico degli Usa nei confronti d’Israele. Questo almeno ha il merito di aprire un dibattito su un tema, il rapporto tra Stati Uniti e Israele, sul quale sembrava esserci una sorta di tabù inviolabile. Hanno peraltro sostenuto, a ragione a mio avviso, che l’espansione molto rapida della Nato ha in qualche alimentato la paranoia e il senso di accerchiamento della Russia. D’altro canto, se si applica il realismo in termini assoluti, in modo automatico, si rischia di sconfinare nell’amoralità, del tipo chissenefrega dell’Ucraina, lasciamo perdere. I nostri interessi principali non sono lì, lasciamo prevalere chi è più forte. A ben vedere, il realismo è basato sulla valutazione della forza. E in questo, Henry Kissinger è stato il re dei realisti.

La guerra in Ucraina. Qual è oggi l’atteggiamento prevalente nell’opinione pubblica statunitense?
La grande maggioranza è dalla parte dell’Ucraina. C’è una piccola corrente pro-russa nell’ala estrema del Partito repubblicano ma è decisamente minoritaria.

Questo favorisce la corsa di Joe Biden per un secondo mandato presidenziale nelle elezioni del novembre 2024?
Potenzialmente sì, perché Trump ha detto delle cose molto negative a proposito di Zelensky e poi è molto nota la sua amicizia con Putin e questo non credo che gli porti crediti elettorali. Stranamente il suo più accreditato sfidante in campo repubblicano, il governatore della Florida Ron De Santis, ha affermato che è ora di smetterla di scrivere assegni in bianco per l’Ucraina, basta con questa guerra. Ma non credo che queste posizioni abbiano molta presa sull’elettorato, neanche in quello più conservatore.

A proposito di Trump. Le sue disavventure giudiziarie potranno rendere impossibile una corsa vincente di The Donald alla Casa Bianca?
È difficile prevederlo. Di certo nel suo elettorato le gravi accuse che lo hanno investito, e anche le prime sentenze, non hanno molta presa. Loro sono convinti che Trump sia vittima di persecuzioni politico-giudiziarie e che giudici e magistrati siano al servizio degli odiati Democratici, quelli, che nel loro immaginario collettivo, avrebbero scippato con i brogli la vittoria di Trump nelle elezioni passate. Ulteriori problemi giudiziari non faranno che rafforzare questa convinzione tra i suoi seguaci.

Per chiudere su Henry Kissinger. Lui fu anche uno degli artefici della “diplomazia del ping pong” con la Cina negli anni della presidenza Nixon. Oggi che messaggio sarebbe questo, in “stile Kissinger”?
Che bisogna negoziare anche con Stati che non ci piacciono. Certamente lui non è contrario, tutt’altro, ad una soluzione negoziata del conflitto russo-ucraino, ma questo non l’ha spinto a dire o a scrivere qualcosa di positivo nei riguardi di Putin. Da grande e intelligente “realista” anche al traguardo del secolo di vita, Kissinger non ha perso lucidità e abilità nel maneggiare le parole.