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Non chiamateli Angeli del Fango: i ragazzi del Paciugo dell’alluvione in Emilia Romagna

Non chiamateli Angeli del Fango: i ragazzi del Paciugo dell’alluvione in Emilia Romagna

Sono arrivati da tutta Italia. Sporchi di fango, badile in mano, quasi sempre giovani. E chi l’avrebbe mai detto? Questi giovani, questi ventenni di oggi, signora mia. E invece. Sono arrivati in migliaia per dare una mano alle zone dell’Emilia Romagna colpite dalla violentissima alluvione scoppiata nella notte tra il 16 e il 17 maggio che ha causato 14 vittime e un disperso e danni incalcolabili. Quasi sempre sono giovani o giovanissimi. E subito sono stati battezzati, come sempre in queste tragedie: “Angeli del Fango”. Loro preferiscono “Ragazzi del Paciugo”.

L’espressione “Angeli del Fango” risale al 1966, all’alluvione di Firenze del 4 novembre. La città fu invasa da 250 milioni di metri cubi d’acqua e 600mila metri cubi di fango. I volontari arrivarono da tutta Italia e dall’estero. Alcuni già vivevano a Firenze, altri ci arrivarono di proposito. Gli Angeli del Fango aiutarono i cittadini ma diedero un grande aiuto anche a recuperare e salvare l’enorme e inestimabile patrimonio artistico fiorentino. La Protezione Civile non era stata ancora istituita, la risposta dei volontari fu spontanea.

“È una bella immagine, sia della solidarietà sia del cambiamento”, ha ricordato al Giornale Radio di Radio 1 Pier Luigi Bersani, che in quell’autunno arrivò a Firenze come volontario. “Avevo quindici anni, arrivai giù dall’Appenino con un gruppo di ragazzi. Ho sentito improvvisamente un’aria nuova, si parlava di quello che doveva cambiare”. Allo stesso modo i ragazzi del Paciugo spalano, portano cibo e medicine, aiutano a mettere i sacchi per rinforzare argini di fiumi e canali. È una generazione di ragazzi tra l’altro molto sensibile ai temi ambientali.

“Ci siamo ritrovati in tanti tra gli amici con cui il sabato siamo in pizzeria o al cinema e abbiamo fatto la squadra”, ha detto una di loro a Il Corriere della Sera. “Con il mio gruppo abbiamo liberato un capannone dove c’erano oggetti di antiquariato. Erano ormai fradici e purtroppo li abbiamo dovuti buttare. Il proprietario, poverino, era disperato. Il mio babbo nel pomeriggio mi ha scritto un gran bel messaggio: ‘Sono molto fiero di te’. Mi ha commossa. Comunque lui non è ancora rientrato: uscito dal lavoro è andato ad aiutare dei nostri conoscenti che hanno ancora la casa allagata”.

Al quartiere San Mauro in Valle, a Cesena, è apparso uno striscione legato ai pali della segnaletica. “Non chiamateci angeli del fango ma chi burdel de paciug”. Paciugo in Romagna indica qualcosa di indistinto, una poltiglia indefinita, il fango in questo caso. Hanno scelto loro. Resta sempre grottesco leggere chi si stupisce di questa partecipazione. Più insopportabile della retorica degli Angeli del Fango è soltanto quella (anche giornalistica) di chi sottolinea come questi giovani – questi giovani d’oggi, signora mia, che fine faremo – abbiano dimostrato di non essere puntualmente una generazione di smidollati: è il giochino dei pigri e degli ignavi, prendersela con i giovani – perfino quando non sono attivisti di Ultima Generazione.