Unità del 17 marzo 1948
Placido Rizzotto, il trentacinquesimo assassinio
«“Dov’è Rizzotto?” Questo grido, scandito a pieni polmoni dal segretario della Cgil Giuseppe Di Vittorio a Palermo, in Piazza Politeama gremita, me lo ricordo con un brivido. Gridava scandendo “Do-vè Ri-zzo-tto” tante e tante volte, come se aspettasse risposta, e l’eco rimbombava passava girava si perdeva nella piazza raggelata, con decine di migliaia di persone che trattenevano il fiato e le lacrime», racconta un testimone a Giuliana Saladino nel suo libro Terra di rapina, uscito nel 1977 e che tanto fece discutere.
Archivio Unità - di Paolo Persichetti
«“Dov’è Rizzotto?” Questo grido, scandito a pieni polmoni dal segretario della Cgil Giuseppe Di Vittorio a Palermo, in Piazza Politeama gremita, me lo ricordo con un brivido. Gridava scandendo “Do-vè Ri-zzo-tto” tante e tante volte, come se aspettasse risposta, e l’eco rimbombava passava girava si perdeva nella piazza raggelata, con decine di migliaia di persone che trattenevano il fiato e le lacrime», racconta un testimone a Giuliana Saladino nel suo libro Terra di rapina, uscito nel 1977 e che tanto fece discutere.
Il paesaggio agrario della Sicilia nel secondo dopoguerra era ancora dominato dalla presenza del grande latifondo. Il movimento contadino, incentivato dal decreto del 19 ottobre 1944 varato dal ministro dell’agricoltura, il comunista Fausto Gullo, che distribuiva i terreni incolti a cooperative di contadini, si oppose a questo sistema attraverso l’occupazione dei latifondi. Sulle lotte contadine si abbatté una fortissima repressione giudiziaria e poliziesca. Oltre tremila furono i braccianti denunciati, solo 386 quelli assolti. In tutto furono processati 2.323 contadini, condannati complessivamente a 293 anni e 36 mesi di reclusione. Alla durissima repressione contro le lotte bracciantili contribuì la saldatura di un blocco agrario-mafioso appoggiato dalla Democrazia cristiana. Il ruolo giocato nello sbarco angloamericano in Sicilia diede nuova linfa alle famiglie mafiose incaricate dagli agrari di gestire e proteggere i latifondi, vessando la manodopera bracciantile col «gabellotto», l’imposta mafiosa, e il caporalato. Sui dirigenti del movimento contadino si abbatté la rappresaglia mafiosa. Le sparizioni e le uccisioni seguiranno nei decenni successivi, anche quando la vecchia mafia agraria divenne metropolitana arricchendosi con il traffico dell’eroina, il racket e gli appalti pubblici, fino all’omicidio, nell’aprile del 1982, del segretario regionale del partito comunista Pio La Torre, e del suo autista, Rosario Di Salvo.
Nel corso della campagna elettorale del 1948 nella provincia di Palermo furono compiuti alcuni dei più efferati delitti: Placido Rizzotto a Corleone, Epifanio Li Puma a Petralia e Cangelosi a Camporeale. Non a caso tutti e tre socialisti. Nonostante la scissione della componente socialdemocratica in Sicilia i socialisti erano rimasti uniti. Il blocco agrario-mafioso non colpiva solo per difendere i propri interessi economici ma ragionava anche di politica. Placido Rizzotto aveva ventisei anni, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 lasciò la sua unità militare e si unì alle Brigate partigiane Garibaldi. Tornato in Sicilia fu eletto presidente dell’Anpi di Palermo e segretario della Camera del lavoro di Corleone, dove prese la direzione delle lotte per l’occupazione delle terre che permise alla cooperativa “Bernardino Verro” di Corleone la gestione di un intero feudo. Una sfida diretta al potere mafioso locale tenuto da Michele Navarra e dal boss emergente Luciano Liggio, autore materiale del delitto, insieme a Vincenzo Collura e Pasquale Criscione. Tutti e tre vennero poi assolti per insufficienza di prove, dopo aver ritrattato la loro confessione in sede processuale.
Rizzotto fu rapito la sera 10 marzo 1948, ucciso e gettato in una “ciacca” (fenditura) profonda cinquanta metri alle doline di Rocca Busambra. Diversi testimoni assistettero al rapimento e un giovane pastore di 10 anni, Giuseppe Letizia, al riparo di una roccia vide la sua esecuzione, per questo venne ucciso dal Michele Navarra.
Nel 2009 vennero finalmente ritrovati nella fenditura della Rocca alcuni resti ossei, oltre ad una cintura e una moneta in corso di validità nel 1948, ma solamente nel marzo 2012 grazie all’esame del dna giunse la conferma che quelle ossa appartenevano a Rizzotto. Il 24 marzo del 2012 si tennero i funerali di Stato in sua memoria. «Non si nasce schiavi o padroni, chi ci vuole diventare ci diventa. Noi dobbiamo restare uniti, compagni, perché da soli non si cambiano le cose» (Placido Rizzotto).
Questo articolo, firmato da uno Girolamo Li Causi, dei maggiori dirigenti del Pci dell’epoca, è stato pubblicato sull’Unità del 17 marzo 1948 con il titolo “Il trentacinquesimo assassinio”.
Il 2 marzo a Petralia Soprana in provincia di Palermo, comune al centro di una decina di borghi contadini, disseminati in una zona in cui impera sovrano il latifondo, mentre zappava il suo spezzone di terra, presente il figlio undicenne, veniva trucidato il vecchio compagno Epifanio Li Puma capo contadino che da 30 anni lottava contro i baroni, contro gli Sgadari, i Mocciari, i Pottino. Il delitto, per ammissione stessa delle autorità, è politico; tutti sanno chi lo ha premeditato, organizzato ed eseguito. Anche la polizia lo sa. Li Puma veniva freddamente atterrato da due briganti della banda di Dino, banda che vive grazie alla complicità dei baroni che le assicurano ospitalità, sussistenza, protezione. Niente giustifica l’efferato delitto. Li Puma, padre di nove figli, contadino poverissimo, aveva trascorso tutta la sua esistenza lavorando la terra, dirigendo la lega contadina di Petralia, organizzando la cooperativa “La madre terra” che da tre anni è in lotta con i signori feudali per il possesso meno precario della terra, per più umane condizioni di esistenza. Dal Marchese proprietario, al campiere che indica ai banditi la vittima perché non sbaglino, ai sicari rotti ad ogni delitto, la catena è limpida. Ma la polizia come già per altre decine di contadini capilega trucidati in questi ultimi mesi archivia le pratiche. Lo spaventoso è che le autorità hanno rinunziato persino a scoprire chi sono stati gli assassini dell’avv. Campo, vice segretario regionale della Democrazia cristiana ucciso mentre in macchina si recava da Alcamo in provincia di Trapani ad Agrigento. Scelba ha mandato già un suo ispettore centrale; ma questi dopo poche ore di permanenza a Palermo, ha fatto ritorno a Roma senza aver concluso nulla. La Democrazia cristiana non ha interesse a scoprire gli assassini dell’avv. Campo, perché, come si ammette dall’opinione pubblica siciliana, specialmente da quegli strati che più sono qualificati per esprimere opinioni e giudizi su tali misfatti, dovrebbe scoprire i suoi legami con quelle organizzazioni criminose che vanno sotto il generico nome di mafia.
Non erano ancora trascorsi sette giorni dall’assassinio di Li Puma ed ecco che a Corleone, altro grossissimo borgo al centro anch’esso di una delle più caratteristiche zone del latifondo, in provincia di Palermo, sparisce il segretario di quella Camera del Lavoro e presidente di quella sezione reduci e combattenti. Placido Rizzotto, partigiano garibaldino.
Fino a questo momento nulla si sa della sua sorte. Centinaia di contadini divisi in squadre battono la campagna, esasperati, trepidanti, seguiti dall’ansia di tutto un popolo che non sa darsi pace della efferatezza del delitto. Ma si sa che l’ultima persona che il Rizzotto incontrò la sera del mercoledì 10 marzo fu il gabelletto del feudo “Drago” proprietà del barone Alù e della baronessa Cammarata: feudo dal quale, dopo due anni di vana richiesta da parte della cooperativa “Bernardino Verro”, solo nel dicembre scorso i contadini erano riusciti a strappar 50 ettari di terra.
Ebbene fino ad avanti ieri mattina Pacciardi, vice-presidente del consiglio per l’ordine pubblico, ignorava che in Sicilia era stato assassinato Li Puma ed era scomparso Rizzotto. E Scelba? Non sappiamo se anche lui lo ignorasse: però sappiamo che egli si sta dando un gran da fare per occultare le prove della complicità di agenti dello spionaggio americano con il banditismo siciliano. Precisamente egli intima ai suoi organi periferici di consegnargli le copie eventualmente esistenti della lettera del bandito Giuliano al giornalista americano Stern, nella quale il bandito chiede armi. Pesanti per la lotta contro il bolscevismo e da indicazioni pratiche per migliorare i suoi collegamenti con gli agenti americani. A Palermo il governo regionale ricostituitosi con la presidenza dell’avvocato Alessi, ma con la partecipazione dei gruppi di destra che lo avevano prima gettato nel fango per poi averlo più prono ai loro voleri, venerdì scorso si è rifiutato di rispondere ad una interrogazione urgente del Blocco del Popolo che gli chiedeva conto della fine del Rizzo e delle gravissime condizioni della pubblica sicurezza in Sicilia. […]