Sulla superiorità della sala

Caro Nanni Moretti, non farti del male: guarda (e fai) le serie tv

Margherita Buy, protagonista nel film “Il sol dell’avvenire”, contrappone la sala al piccolo schermo. Ma oggi si sperimenta soprattutto nella serialità. Lo dicevano anche i Cahiers

Cinema - di Redazione Web

25 Maggio 2023 alle 16:34 - Ultimo agg. 26 Maggio 2023 alle 12:21

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Caro Nanni Moretti, non farti del male: guarda (e fai) le serie tv

In occasione dell’uscita dell’acclamatissimo Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti – ieri in concorso a Cannes – la protagonista Margherita Buy ha dichiarato in un’intervista all’Espresso: «L’interesse oggi è tenerci inchiodati al divano a vedere una serie. Invece per me un’ora e mezza in sala vale due milioni di puntate della serie anche più geniale: sono ancora convinta che il cinema possa cambiarci la visione del mondo». Sembra di sentire le parole che lo stesso Nanni Moretti, nel film Aprile uscito ben 25 anni fa (sic!), tuonava contro la pochezza politica e umana della sinistra. La “formazione culturale e morale” della classe dirigente è avvenuta davanti alla televisione diceva sconsolato. Nessuno vuole più cambiare il mondo, tutti vogliono solo imitare lo scanzonato Fonzie di Happy Days. Ci hanno rovinato le serie tv, ieri come oggi.

Davvero un’ora e mezza in una sala cinematografica vale di più, per definizione, dello stesso tempo trascorso davanti allo schermo domestico? Neanche la migliore serie tv è in grado di avere un impatto sulla nostra vita e di intaccare il nostro mondo di stanche certezze? Forse neanche Margherita Buy – che di serie tv ne ha interpretate diverse – pensa davvero ciò che ha dichiarato ed è solo una boutade da intervista, buona per fare un po’ di polemica online. Però l’occasione ci è utile. E non tanto per riaprire la polverosa dicotomia tra televisione qualunquista e cinema impegnato, tra cultura bassa e cultura alta, quando per fare un po’ di chiarezza sullo stato dell’arte audiovisiva ai tempi delle piattaforme digitali.

In effetti, la diatriba tra prodotti commerciali per lobotomizzati da divano e l’opera d’arte cinematografica per selezionati spettatori emancipati è già chiusa da tempo. Nel lontano 2010, perfino i Cahiers du Cinema – la rivista più prestigiosa del cinema d’essai – metteva in copertina January Jones, la Betty Draper della serie tv Mad Men, e dedicava l’intero numero alle séries, “une passion américaine”. Sulle stesse pagine dove François Truffaut scriveva “Une certaine tendance du cinéma français”, l’articolo del 1954 diventato manifesto della Nouvelle Vague, che celebra la fine della rassicurante gerarchia tra grande e piccolo schermo. Si ribalta l’adagio di Billy Wilder: “Adoro la televisione, finalmente c’è qualcosa che il cinema può guardare dall’alto in basso”. Il cinefilo orgoglioso di non vedere la televisione è un lontano ricordo.

Insomma, ormai è assodato che “televisivo” non è più un aggettivo deteriore senza distinzioni, ma sinonimo di uno spazio ampio e polimorfo, capace di sperimentare nuovi temi e nuovi linguaggi, dilatando nel tempo e nello spazio la forma cinematografica. Certo, si potrebbe obiettare che non ci sono più le serie tv di una volta. Sono lontani i tempi di Lost e I soprano, di Mad Men e Breaking Bad e oggi la quantità – di piattaforme streaming, di canali tematici, e di conseguenti prodotti seriali da batteria – sembra aver fagocitato la qualità. Ma anche questo è un giudizio superficiale.

Come ci ha ricordato Anne-Marie Duff alla premiazione dei Bafta Television Awards 2023 – ritirando il premio come Miglior attrice non protagonista per il ruolo di Grace nella serie prodotta da AppleTV+ Bad Sisters: “La televisione è uno spazio profondamente politico e importante. Entriamo nelle case delle persone e possiamo sussurrare nelle loro orecchie”. Non a caso Bad Sisters parla di violenza domestica, di sorellanza e di rabbia femminile con la leggerezza crudele della dark comedy che ribalta gli stereotipi vittimistici di molte narrazioni di genere.

Le serie tv contemporanee, secondo le tante Margherite Buy, avrebbero solo il compito di mantenere intatto lo status quo tratteggiando un affresco asettico che rispecchia i gusti appiattiti di un pubblico senza qualità. Al contrario le narrazioni seriali complesse – e ce ne sono moltissime – hanno ancora la capacità immaginifica di aprire mondi paralleli e scenari alternativi, visioni che fanno tremare le nostre certezze proprio all’interno della stabilità dello spazio domestico. Sono le serie tv che, puntata dopo puntata, possono innescare cambiamenti individuali e sociali, prima che si siano secolarizzati nella società contemporanea e normalizzati in politiche concrete. Alcune hanno fatto storia. Niente ha spiegato il marxismo agli americani come la sceneggiatura di The Wire di HBO. Una lunghissima indagine sulla droga della polizia di Baltimora, che costrinse venti anni fa il governo statunitense a cambiare atteggiamento sul degrado urbano.

Il cartello “Believe” affiso all’entrata dello Studio Ovale – quando Joe Biden ha accolto alla Casa Bianca il cast della serie tv Ted Lasso per parlare di salute mentale – lo dimostra. Per sgretolare i tabù del nostro tempo, a volte basta il contagioso buonumore di un personaggio come Ted, l’inspirational coach tormentato da attacchi di panico. Ogni puntata è un antidoto settimanale al cinismo qualunquista di chi non può e non vuole credere. E se la cinematografia contemporanea fatica a produrre saghe familiari degne del romanzo novecentesco, ci pensa Succession di HBO. Una delle narrazioni seriali più potenti degli ultimi tempi, attualmente in onda con la quarta stagione su Now e Sky, che ci conduce nel fondo malmostoso del capitalismo statunitense. A suon di “fuck off”, lo spregiudicato patriarca Roy Logan e i suoi quattro figli costruiscono un affresco delle umane abiezioni degno di un dramma shakespeariano.

Non solo. La farsesca realtà raccontata dalla cronaca dell’incoronazione di re Carlo III, non si restringe ma si espande quando la si abbina alla visione della bellissima serie Netflix The Crown. In un episodio della terza stagione il giovane Charles recita per l’ultima volta sul palcoscenico di un vero teatro il monologo del Riccardo II: “Entro la vuota corona che cinge le tempie mortali d’un re, ha reggia la morte e là s’insedia”. Alle pratiche inclusive della scuola che spesso si perdono nel moralismo fine a sé stesso, buono per gli obblighi burocratici e sterile ai fini educativi, andrebbe aggiunta per decreto la visione obbligatoria di un teendrama. Uno qualsiasi – anche nelle produzioni italiane di qualità come Skam Italia (Netflix) o Prisma (Amazon Prime) – che tanto basta per superare le ristrette vedute che abbiamo sui corpi e sui desideri degli adolescenti. Ci sono più cose nelle serie tv di quante ne sogna la nostra pedagogia.

L’elenco potrebbe continuare: in televisione non vediamo solo ciò che siamo, ma diventiamo ciò che vediamo. La sfida culturale che abbiamo di fronte non è tornare al cinema come valore assoluto, come se il film in sala fosse un bene in sé e per sé. La proiezione sul grande schermo non ci protegge, per definizione, da tutte le “cagate pazzesche” presenti in cartellone, che non intaccano in nessun modo il nostro mondo e il nostro essere. La sfida è trovare una bussola per orientarsi in quella che lo studioso Jay David Bolter ha definito “plenitudine digitale”. Dal latino “plenus, pieno”: viviamo in una cultura mediale complessa in cui le narrazioni rimbalzano tra un medium e l’altro, attraversano pubblici diversi, si frammentano in tanti format e si remixano in contesti alternativi.

Non c’è – e, aggiungiamo, per fortuna – nessun centro stabile per riprodurre le vecchie e stantie gerarchie della cultura d’élite. Il problema, quindi, non è rimanere “inchiodati al divano” come teme Margherita Buy, ma equipaggiarsi di grande spirito critico per affrontare la guerra dei contenuti che combattono alle nostre spalle le industrie produttive dell’audiovisivo. Lo spettatore esigente, quello che non concede facilmente la sua attenzione, è il nuovo militante del terzo millennio. Siamo chiamati a scegliere come spendere i nostri soldi e il nostro tempo, consapevoli che – selezionando la serie tv giusta – potremmo “cambiare la nostra visione del mondo” anche dopo un intensivo weekend di binge watching domestico.

25 Maggio 2023

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