La furia col Quirinale
La chiamano “etnia” ma è sempre difesa della razza: Fratelli d’Italia spinge l’Italia fuori dall’età dei diritti
Editoriali - di Michele Prospero
I giornali di governo insorgono: “Mattarella capo dell’opposizione”. Nel suo memorabile discorso, il presidente in realtà riprende il pensiero del cattolico liberale Manzoni per mettere solidi paletti attorno ai fondamenti e contenere lo sdrucciolamento dei principi costituzionali che è ben percepibile. Combattendo il richiamo alla stirpe in nome della persona-valore, il capo dello Stato intende bloccare la deriva che spinge sempre più l’Italia al di fuori dell’età dei diritti.
Per la destra il Quirinale parla a cognato, fissato per l’etnia e il pericolo della sua “sostituzione”, perché anche la donna-madre-cristiana, che ne ha cantato da urlatrice in ogni comizio, intenda. In realtà, quando uno storico del Corriere della Sera esalta la triade Dio, patria e famiglia, è evidente che in atto è uno smottamento più generale dei valori. Esso coinvolge la stampa un tempo borghese illuminata e scavalca la volontà di potenza dello Stato di famiglia disegnato lungo l’asse Garbatella-Tivoli.
Se sulle politiche pubbliche nessuna interferenza il Colle intende esercitare per intralciare il legittimo indirizzo politico di maggioranza, nel suo ruolo di presidio della cornice valoriale della Costituzione Mattarella non concede alcuna sponda a chi, dopo aver consultato la Treccani, rilancia il tratto identitario di sempre, ossia la difesa della incontaminata etnia italica. Il gruppo di famiglia in un interno di Palazzo Chigi restituisce l’immagine di una classe politica di destra radicale che venera Almirante come immortale avo della Repubblica. In impegnativi saggi del 1938, dedicati alla decadenza dell’impero romano, Giorgio Almirante insorgeva contro la “marea della cultura senza patria” (cioè “l’europeismo, l’internazionalismo flaccido, il decadentismo”, il “romanzo ebraico” e i prodotti spregevoli di questi “venditori di sogni”) che determinava l’affievolirsi del “senso della razza italica”.
Bersaglio del capo missino erano anche gli storici del diritto romano che avevano lasciato in ombra la causa vera dell’eutanasia dell’impero antico: l’influenza antistatale degli ebrei “sinonimo di senzapatria” che, con il loro “feroce esclusivismo”, sfruttavano “ogni occasione per conquistar privilegi e ricchezze”. Invocando il carattere imperituro del “binomio romanità-italianità”, Almirante esaltava la bellezza delle “numerose e violente reazioni antigiudaiche” divampate già a Roma. Un sentimento di piacere estetico provava dinanzi alla distruzione di Gerusalemme.
Oltre a prendersela con il giudaismo, il padre spirituale di Fratelli d’Italia insorgeva contro la penetrazione del cosmopolitismo degli stoici e l’impatto di politiche fiscali in base alle quali per fare cassa si allargavano i diritti. Lo sradicamento multietnico culminò nell’editto di Caracalla, il più orribile dei documenti giuridici. Muovendosi “come oggi agiscono nei cosiddetti paesi democratici”, Caracalla, “figlio dell’africano Settimio Severo” e portatore del “mal francese”, concedeva la cittadinanza ai provinciali rendendoli novi cives. E fu così aperto un varco sicuro per il trionfo del meticciato e del “sincretismo religioso e politico”.
Censurando la storia del declino di Roma, caduta vittima di un “indifferente eclettismo” e dell’“erotismo ebraico”, Almirante pensava di arginare anche la “pseudocultura internazionalistica” degli anni Trenta. Ce l’aveva soprattutto con “la concezione tipicamente ebraica che dipinge Roma come la Nuova York dei tempi antichi: un immenso crogiuolo di civiltà, di riti, di razze”. In forme aggiornate, nella destra di Fdi sopravvive il mito identitario del sangue e della terra che giustifica la rivendicazione di chiusure e demarcazioni rispetto al “nemico esterno” (immigrati, clandestini, rifugiati, islamici, irregolari, manodopera a basso costo e merci straniere a buon mercato, portatori di virus pericolosi).
Il nazionalismo a tinte populiste, conquistata la cittadella di governo, non rinuncia a rinverdire i riferimenti all’etnia secondo una rivisitazione del tradizionale credo fascista. “I moderni populisti di destra parlano meno di ‘razza’, termine che è diventato politicamente scorretto, ma hanno sviluppato una variante ‘culturale’: sottolineando l’incompatibilità di certe culture e religioni, in particolare l’Islam, con la cultura cristiana occidentale” (Marcel H. Van Herpen, The end of populism. Twenty proposals to defend liberal democracy, Manchester University Press, 2021, p. 265).
I “Cognati d’Italia” si spingono però oltre il populismo di destra (che appunto si ferma al conflitto “culturale”) per acciuffare un succedaneo spendibile della categoria di razza, ovvero la matrice etnica dell’identità nazionale. Proprio a causa di questo recupero dell’impianto etnicista, il partito di Meloni non appartiene al conservatorismo ma incarna una variante di destra radicale. È dello stesso ceppo di quella emersa negli anni 80 con il Front National o nei 90 con l’FpÖ, e oggi al governo nei paesi nordici o nelle nuove democrature dell’Est. Sulla base del connubio tra populismo e destra radicale nasce un movimento europeo che è stato efficacemente denominato “nazional-populismo” (P-A. Taguieff).
I problemi definitori sulla matrice della nuova destra sembrano ormai risolti: «A parte le questioni terminologiche nella ‘guerra delle parole’ (estrema destra o destra radicale, ecc.), è possibile definire questi nuovi partiti nazionalisti e razzisti in base alle loro idee o ideologie politiche sostanziali. Prima di tutto, questo significa che i partiti populisti di destra radicale appartengono alla destra politica» (Gregor Fitzi, Jürgen Mackert, Bryan S. Turner, Populism and the Crisis of Democracy, Vol. 2, Routledge, 2018, p. 87). Spingendosi oltre la guerra contro l’universalismo dei diritti per coltivare il tradizionalismo delle radici cristiane dell’Occidente, e al di là dell’invettiva euroscettica e della “critica delle élite”, la destra si aggrappa al ceppo etnico per farne la radice di una politica identitaria.
Con una lezione di storia della letteratura, e anche di genealogia del lessico politico europeo, Mattarella, al contrario, rivendica le categorie dell’89 (la triade libertà, eguaglianza e fraternità) come forte argine universalistico al pericolo di una fine burrascosa dell’Europa dei diritti. Le forze illiberali oggi al potere rischiano di far deflagrare gli equilibri costituzionale, oltre che politico-culturali, della vecchia Europa. La moneta unica con fatica è stata difesa, i diritti e le libertà sono invece molto più vulnerabili e si ritrovano a rischio sotto l’onda nera che avanza minacciosa dopo il tragico cedimento della fortezza di Roma.