Il doppio binario
Abuso d’ufficio, le sirene “antimafiose” contro l’abolizione: il ricatto delle toghe ai partiti
Editoriali - di Tiziana Maiolo
Siamo ancora alla fase preliminare della riforma, dopo un incontro che pare sia stato risolutivo tra il ministro Nordio e la responsabile giustizia della Lega, Giulia Bongiorno, e già si affaccia come un’inquietante ombra di Banco, l’ossessione del doppio binario. Provvede il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, in audizione alla commissione giustizia della Camera, a lanciare l’allarme. Non si può abolire il reato di abuso d’ufficio, dice in sintesi l’alto magistrato, perché non ci fidiamo delle pubbliche amministrazioni. “Basterebbe guardare allo stato delle amministrazioni sciolte in trent’anni per accertati condizionamenti della criminalità mafiosa per toccare la concretezza dei problemi dell’assenza di ogni filtro, controllo, prevenzione”.
Eccoci qua, nell’attesa di ritrovare magari nella prossima legislatura il procuratore seduto in Parlamento nei banchi del Movimento Cinque Stelle insieme al suo predecessore. Eccoci qua, immemori di quante ingiustizie, di quanti danni anche economici sono stati prodotti con gli scioglimenti di Comuni anche ben amministrati, nel nome dell’ “antimafia”. Spesso più quella nostalgica e militante che non quell’altra fondata sulla realtà criminale. Sono proprio questi provvedimenti prefettizi, quindi del governo, e il legiferare del Parlamento con norme per alcuni, cioè per il nord d’Italia, e norme per altri, cioè per i “mafiosi” del sud, che non fanno funzionare la giustizia. Sarà sempre così, se non si spezza la logica del doppio binario.
Ben venga quindi l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, dunque, se c’è l’accordo tra i partiti della maggioranza. E staremo a vedere se avranno la forza di non farsi condizionare dal solito ricatto delle toghe. Basti ricordare che i codici sono scritti per il Signor Chiunque, senza eccezioni. E staremo a vedere anche come si comporteranno i deputati e senatori del Pd, il partito che più di tutti ha dirigenti e militanti sparsi nelle amministrazioni locali di tutta Italia, gli stessi che sono andati dal ministro Nordio a chiedergli di aiutarli a superare la paura della firma. Voteranno “si” a una riforma che probabilmente avrebbero presentato loro stessi se fossero stati al governo? O si faranno accecare dalla stupidità delle pregiudiziali antifasciste e antimafiose? Lascino ai guerrieri pentastellati e ai loro capitani coraggiosi con la toga nel cuore il ruolo di conservatori e reazionari. E si faccia infine questa riforma destinata a ridare agli amministratori locali coraggio e fiducia nelle istituzioni, oltre a far risparmiare tempo e denaro fino a ora sperperati con processi inutili e dannosi.
Questo per quel che riguarda un’importante riforma di diritto penale sostanziale. Ma va anche ricordato che, come dicevano gli antichi giuristi, il codice dei galantuomini è quello che regola le procedure. E qui, se i progetti del ministro Nordio, reso forte dalla presenza al suo fianco nel ruolo di suo vice, di un garantista doc come Francesco Sisto di Forza Italia, e ormai anche dal consenso della Lega, andranno in porto, potremo dire che si starà aprendo una vera stagione di riforme sulla giustizia. Certo, occorre anche che in contemporanea parta la discussione di una riforma costituzionale fondamentale (e sempre promessa) come la separazione delle carriere tra organo giudicante e requirente.
Ma intanto cominciamo con il cancellare un vero vulnus dello Stato di diritto come la possibilità per il pm di ricorrere in appello contro le sentenze di assoluzione. La vecchia “legge Pecorella” del 2006 può essere resuscitata e resa inattaccabile dalla Corte Costituzionale. Che ha avuto la sua evoluzione, grazie a donne come Marta Cartabia e uomini come Giorgio Lattanzi e Giuliano Amato che l’hanno presieduta negli ultimi anni. Ci sono poi le questioni fondamentali della custodia cautelare, con la previsione della decisione presa da un organo collegiale e preceduta dall’interrogatorio della persona indagata.
E l’eterno cauchemar delle intercettazioni. Rispetto alle quali è inutile far sempre arrabbiare i giornalisti per la pubblicazione di notizie riservate. Basterebbe attribuire al naturale custode della segretezza, il pm, una responsabilità simile a quella del direttore di giornale o emittente. Ti lasci scappare la notizia riservata, magari proprio quella che finisce in edicola e sputtana uno che magari non è neanche indagato? Paghi tu. Ma temiamo che non sia questa la riforma che si sta preparando. Temiamo sarà la solita inutile stretta sulla pubblicazione. Ci ha già provato il ministro Orlando, con nessun risultato.