I problemi della premier
Bocciata la delega fiscale di Meloni, dopo Bankitalia tocca all’ufficio parlamentare di bilancio: “Flat tax penalizza redditi medi, mancano coperture”
Economia - di Carmine Di Niro
Dopo Banca d’Italia, è il turno dell’ufficio parlamentare di bilancio. Per la seconda volta la delega fiscale del governo di Giorgia Meloni viene sonoramente stroncata.
Due i rilievi presentati all’esecutivo dall’ufficio guidato da Lilia Cavallari, con le ‘annotazioni’ consegnate alla Camera in una memoria depositata in commissione Finanze.
In primo luogo la questione delle coperture, ancora da trovare per non mettere “a repentaglio la solidità dei conti pubblici”: anche perché fare una riforma fiscale in deficit “rischia effetti negativi”.
La delega, scrive l’ufficio parlamentare di bilancio nella sua memoria, “non va finanziata ricorrendo a debito e le coperture dovranno venire da spostamenti del carico fiscale fra imposte o da tagli permanenti della spesa”. Dunque bocciata anche l’ipotesi di finanziare la riforma con la riduzione dell’evasione fiscale, che potrà essere utilizzata come copertura “solo dopo tre anni se risulta permanente”.
C’è poi il punto già fortemente criticato da Bankitalia e politicamente più caro in particolare al vicepremier, ministro delle Infrastrutture e leader della Lega Matteo Salvini: la flat tax. La ‘tassa piatta’ per l’Upb “penalizza i redditi medi e favorisce quelli più elevati a meno di rinunciare a una elevata quota di gettito” mentre quella incrementale, ovvero sui soli incrementi di reddito da un anno a un altro, è “poco giustificabile”.
Una flat tax incrementale poco giustificabile in particolare “sotto l’aspetto dell’efficienza, visto che l’aliquota agevolata non è applicata solo a somme la cui percezione risulti effettivamente legata a incrementi di produttività, qualità e innovazione. Un esempio è rappresentato dagli incrementi di redditi da lavoro dipendente che sono determinati essenzialmente dai rinnovi contrattuali”, si legge nella relazione dell’Upb.
Bocciatura pesante che segue quella già incassata dall’esecutivo lo scorso 18 maggio da Bankitalia e dal capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale Giacomo Ricotti. Nella sua audizione alla Camera aveva giudicato la singola aliquota Irpef per tutti i contribuenti “poco realistica per un Paese con un ampio sistema di welfare, soprattutto alla luce dei vincoli di finanza pubblica”. Inoltre andrebbero “attentamente valutati gli effetti redistributivi” di una tale riforma, che per forza di cose non può essere progressiva.
Nel bocciare la flat tax Bankitalia allegava alla relazione portata in commissione Finanze un’appendice interamente dedicata all’esame dell’aliquota unica nei Paesi dove è stata introdotta. La conclusione, appunto, era fortemente negativa: “L’unico argomento su cui le ricerche mostrano una certa convergenza è quello a sfavore della flat tax, ovvero le conseguenze su redistribuzione e disuguaglianza: effetti negativi su questi due aspetti sono stati accertati in alcuni Paesi, come la Bulgaria” mentre altri, come Estonia e Slovacchia, sono stati costretti ad “allontanarsi sensibilmente dal modello base della flat tax” per evitare le conseguenze negative sulla redistribuzione dei redditi e sugli equilibri di bilancio.
Il modello caro a Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi è un sistema “adottato in prevalenza da economie in transizione o in via di sviluppo, con una contenuta pressione fiscale e sistemi di welfare di dimensione limitata”, difficilmente compatibile dunque con un Paese che pur in crisi fa parte del G7.