Quando mercoledì sera si è diffusa la notizia della morte di Tina Turner i social si sono riempiti all’istante di ricordi e omaggi commossi, più di quanto non fosse successo per le scomparse più precoci e meno improvvise di altre star, come Prince o Michael Jackson. Tina, nata Anna Mae Bullock nel novembre 1939, andava per gli 84, era malata da tempo. Eppure la sua morte ha colpito e addolorato come capita quando se ne va una persona cara, non solo una diva. Non era solo una rockstar, un’icona e un simbolo, pur essendo anche tutto questo. Era una favola reale finita bene, la testimonianza vivente del fatto che le cose possono cambiare. Tutti abbiamo fatto il tifo per lei, e non solo perché aveva una gran voce e si muoveva sul palco come a pochi è dato fare. Tutti siamo stati felici quando nel 1984, a sorpresa, è riemersa dall’oblio e risorta a 45 anni, età all’epoca poco plausibile per una rockstar. Tutti siamo stati elettrizzati come di fronte a un film con l’happy ending scoprendo che la nuova Tina era non solo sopravvissuta ma cresciuta e trasformata, diventata una protagonista.
A Anna Mae la sorte aveva servito una bella voce, un corpo da far girare la testa e per il resto solo carte perdenti. Nutbush, il sobborgo del Tennessee dove era nata e che avrebbe reso famoso con la sua canzone Nutbush City Limits nel 2000 contava appena 259 anime tra cui 42 bianchi e nel 1939 le cose non erano diverse. Un posto povero dove i neri si spaccavano la schiena nei campi ancora raccogliendo il re Cotone. Era una figlia, ultima di tre bambine, non voluta: la madre, Zelma, si accingeva a lasciare il marito, Floyd, tipaccio manesco, ma la gravidanza la aveva costretta a rinunciare. Più che un dono Anna Mae era stata una condanna poco gradita e pochissimo amata. Sentenza non a vita però: undici anni dopo Zelma avrebbe piantato comunque la famiglia da un giorno all’altro senza una parola di commiato.
Le sorelle Turner, rimaste in due dopo la morte della terza, erano sballottate da una città all’altra, da una nonna all’altra, abbandonate prima dalla madre, poi anche dal padre risposatosi per veleggiare verso Detroit: Tina studiava, giovava a basket, puliva appartamenti, tornata a vivere con la madre a St. Louis sbarcava il lunario come aiuto-infermiera.
L’incontro che avrebbe cambiato, nel bene e male, la sua vita fu quello con Ike Turner, nel 1957, in un club di East St. Louis. Ike era un altro maschio prepotente: infedele, cocainomane, violento. Ma era anche uno dei grandissimi musicisti della sua epoca. Se c’è una canzone che possa essere indicata come nascita del rock’n’roll è la sua Rocket 88. Fu lui a ribattezzare Anna Mae “Tina”, perché faceva rima con Sheena, un personaggio dei fumetti dell’epoca che volteggiava nella giungla in costume succinto. In gran parte fu Ike a inventare Tina Turner, la cantante e il sex symbol. Sul palco ostentava una sessualità selvaggia e sfrontata, non allusiva ma diretta ed esplicita, paragonabile forse solo a quella che negli stessi anni faceva la fortuna di Mick Jagger. Molti anni dopo, nel 1984, il duetto tra i due al Live Aid, con Jagger che le strappò letteralmente la gonna di fronte a decine di milioni di spettatori, fece storia.
Ike e Tina rimasero insieme per 18 anni, all’inizio solo amici. Tina faceva coppia col sassofonista della band che se la diede a gambe quando lei restò incinta, madre single a 19 anni. Galeotto fu un altro musicista della band, che in tournée, nel 1960, minacciava di irrompere nella camera della cantante: lei si rifugiò nella stanza di Ike e da quel momento fecero coppia fissa non solo sul palco e in sala d’incisione, con un figlio loro, nato nel ‘60, oltre a quello di Tina e ai due di Ike.
Negli anni 60 e nella prima metà dei 70 Tina Turner è stata una cantante famosa e importante, ma non una superstar. Meno dotata delle grandi cantanti di quegli anni, Aretha Franklin, Etta James, Nina Simone, compensava con una presenza scenica aggressiva e travolgente e con una capacità quasi unica di passare dal rhythm and blues nero al rock’n’roll già solo bianco con puntate addirittura nel pop. Alcuni pezzi furono grandi successi, come River Deep Mountain High, un capolavoro non abbastanza apprezzato sul momento, la cover di Proud Mary, un trionfo anche quanto a vendite, o la stessa Nutbush City Limits. La sua interpetazione di The Acid Queen nel film del 1975 che fu tratto dall’opera rock dei The Who, Tommy, fece epoca allora ed è ancora smagliante quasi 50 anni dopo.
Però per arrivare al cielo a Tina mancava qualcosa. Il personaggio libero e selvaggio che interpretava sulla scena era opposto a quello a cui Ike la aveva costretta nella vita. Quando all’inizio del loro amore aveva provato a lasciarlo, la aveva presa a mazzate e non si sarebbe più fermato.
Con Ike, la cantante era in uno stato di costante soggezione e paura, oggetto di violenze tanto fisiche che psicologiche, una gabbia dalla quale Tina nel ‘68 non vedeva altra via d’uscita che il suicidio, fortunatamente fallito. Quando nel 1976 si decise a lasciarlo aveva in tasca 35 cents e le penali per i concerti saltati in seguito al divorzio la avrebbero lasciata piena di debiti. Tutti la consideravano finita. Nessuno aveva mai considerato Tina qualcosa in più che la dotata marionetta. Per tirare avanti cantava nei piano bar di secondo ordine. In Italia fece l’ospite fissa in un programma di Pippo Baudo e Heather Parisi. Continuava a incidere album che vendevano poco o niente.
Cantava al Ritz, un locale dove la gente cenava con sfondo musicale, roba da principianti o da stelle morte, quando un impresario australiano la sentì cantare. Se la portò a Londra dove con l’aiuto di Rod Stewart incise Private Dancer, l’album che la portò dove non era arrivata nei vent’anni precedenti. In quell’album e nei 7, inclusi due live, che avrebbe inciso di lì al 1999, c’è tutta l’energia ruggente dei tempi del duo ma ci sono anche lo spessore, la personalità e la profondità la cui mancanza aveva impedito sino a quel momento ad Anna Mae di realizzare davvero tutte le sue potenzialità.
Tina Turner ha dominato gli anni 80 e 90 anche con un trionfo sugli schermi, l’ultimo fortunatissimo film della serie Mad Max, Oltre la sfera del tuono. Ha venduto milioni di dischi e anche di libri, col primo dei suoi tre testi autobiografici, Io, Tina. Ha incontrato un uomo, il produttore tedesco Erwin Bach, di 16 anni più giovane che era l’opposto di Ike in tutto e per tutto. Dopo 27 anni insieme decisero anche di sposarsi, e quando non si trovava un rene per salvarla dalla dialisi Bach le ha offerto il suo. Con Ike l’ex moglie non ha più voluto parlare ma ha adottato e cresciuto i due figli del musicista maledetto insieme ai suoi. Ritiratasi nel 2000 non ha rinunciato a un’ultima trionfale tournée nel 2008. Però ha dato una mano per il musical basato sulla sua vita, Tina, debutto a Londra nel 2018 e l’anno dopo a Broadway.
Anna Mae Bullock dimostrato che anche quando nasci con le carte sbagliate puoi farcela. È sfuggita alla sorte di tante altre star finite male nonostante il successo, da Billie Holiday a Amy Winehouse. Nella lotta contro gli abusi familiari e la violenza domestica è stata una pietra miliare. Non ci si può stupire se l’abbiamo pianta così sinceramente.