Nasceva 100 anni fa
Don Milani diede il via al ‘68, punto di riferimento per i giovani e la sinistra
News - di Piero Sansonetti
Il Sessantotto è stato un fenomeno internazionale. È partito dagli Stati Uniti e ha travolto l’Europa intera, non solo l’Europa occidentale. In Italia però il Sessantotto ha avuto una vita tutta sua. E a differenza del Sessantotto francese, e quello tedesco, e quello americano – che sono stati i più importanti – non è durato solo qualche mese ma almeno un decennio. Il Sessantotto è stato il più importante fenomeno di ribellione di una generazione ai modelli di società che le erano imposti. E fu una ribellione che provocò cambiamenti giganteschi, nei rapporti civili, nell’economia, nella vita quotidiana, nelle relazioni tra femmine e maschi e in quelle tra genitori e figli, nei pensieri e nei comportamenti dentro le Chiese, e poi nelle leggi, nella lotta tra le classi, nei rapporti di lavoro, nel fordismo, negli equilibri di forza tra borghesia e classe operaia. Io dico che in Italia questo grande sommovimento muove i primi passi proprio dalla scuola di Barbiana. Cioè da don Milani e dalle sue analisi fortissimamente lucide sul tema delle ingiustizie sociali.
Naturalmente negli anni successivi il movimento prese strade diverse. In una sua parte larghissimamente maggioritaria fu egemonizzato e guidato dal marxismo, in alcune fasi e in alcuni settori anche dal marxismo dogmatico e stalinista. Ma il punto di partenza fu la denuncia di don Milani. Il quale toccò tre questioni essenziali: la scuola, il militarismo (e cioè la rappresentazione più schematica e rozza del potere) e la disuguaglianza sociale. Il libro Lettera a una professoressa, che è del 1967, fu una cannonata che abbatté le prime barriere del conformismo. Metteva in discussione quello che mai nessuno aveva messo in discussione: la struttura dell’insegnamento e la relazione strettissima che esiste tra insegnamento e questione di classe. Questo non era un punto di forza del marxismo. Era un’idea che toccava due questioni fondamentali. La prima era l’insofferenza degli studenti nati dopo la fine della guerra per una scuola autoritaria e burocratica. La seconda era il superamento dell’angolo buio che c’è nella teoria della lotta di classe, dovuto all’economicismo della sinistra capace di partire, nelle sue battaglie, solo dai problemi del lavoro.
- Chi era Lorenzo Milani, l’uomo del futuro nato cento anni fa
- Mattarella e la lezione di Don Milani: “Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha”
- Per favore, rileggete la lettera alla professoressa di Don Milani
- Lettera di Don Milani ai cappellani militari: “Virtù non è dire ‘Patria’, virtù è disobbedire”
Don Milani fa un passo indietro, e apre a una visione molto più moderna del conflitto: la ricerca dell’uguaglianza e della lotta alle disuguaglianze a partire dall’infanzia, dalla formazione e dalla trasmissione della cultura e del sapere. Davvero fu una rivoluzione. Una rivoluzione che a guardarla ora fa anche paura. Milani prese il concetto di merito e lo fece a pezzetti. Non era contrario al merito, Milani, per partito preso, ma solo perché aveva chiarissimo il concetto secondo il quale il merito non esiste, è solo un punto di arrivo di un sistema di privilegi.
Vedete, oggi l’operazione culturale che sta compiendo la destra è lo smantellamento di quel pensiero. La reintroduzione di idee antichissime e in netto contrasto con lo sviluppo di una società che punta all’equità. La reintroduzione del merito, della selezione, del premio, del valore della diseguaglianza.
Non dovete credere che la sinistra si appoggiò a Milani e alla sua rivoluzione. No, no: la guardò di sghimbescio, con aria infastidita. Perché faceva saltare i suoi schemi, le sue radici, le sue sicurezze. Don Milani tutto era fuorché un marxista. E probabilmente non avrebbe approvato nulla del decennio del Sessantotto (che non poté vivere, perché morì prima che cominciasse); è il Sessantotto che non sarebbe potuto iniziare senza don Milani. O magari sarebbe iniziato comunque, ma si sarebbe ridotto ai termini di una vecchia battaglia politica. Sarebbe finito subito. Non sarebbe riuscito a conquistare quelle larghissime masse cattoliche che ne furono parte integrante. Non avrebbe stravolto la storia d’Italia. Capisco che può sembrare che io dica una cosa sciocca. Però penso che personaggi molto importanti in quegli anni, come Mario Capanna, Adriano Sofri, Franco Russo, Scalzone, Piperno, Negri, ebbero un gran peso in quel movimento. Ma il vero iniziatore fu quel sacerdote scontroso e geniale che lavorava in una scuoletta sull’Appennino.