“Ha ragione Sassoon. La destra ha vinto la battaglia per l’egemonia culturale. La sinistra deve interrogarsi sui perché e rilanciare la sfida. Per farlo ci vuole un pensiero forte”. A sostenerlo è Matteo Orfini, parlamentare Pd, membro della Direzione nazionale Dem.
La guerra che da più di un anno scuote l’Europa. I disastri ambientali che segnano le nostre vite. Le crescenti diseguaglianze che marchiano le nostre società e i sud del mondo. Una sinistra che guarda al futuro può esistere e incidere senza una visione, un pensiero forte su questi grandi e drammatici temi?
È la grande sfida che non possiamo e non dobbiamo evitare. Senza un pensiero forte su questioni epocali come quelle a cui hai fatto riferimento, la sinistra è condannata ad un ruolo marginale. C’è un elemento che aiuta a comprendere la difficoltà della sinistra esclusione, non solo in Italia ma nel mondo occidentale. Tutti questi problemi enormi hanno generato in questi anni un meccanismo di paura rispetto al futuro. Sono fenomeni che spaventano, che producono e alimentano insicurezza, che determinano paura, esclusione, ingiustizia. E la sinistra occidentale non ha saputo restituire fiducia nel futuro. D’altro canto, i progressisti sono quelli che pensano che il futuro possa migliorare le condizioni esistenti. Il cambiamento che produce progresso soprattutto per i più deboli e per gli esclusi. Noi abbiamo perso completamente la capacità di costruire un progetto di cambiamento per il futuro e quindi anche di dare una risposta positiva e di sinistra a quelle paure. Nell’assenza di questo, le fasce più deboli, meno garantite della società, hanno trovato conforto nella destra. Che ha vinto una battaglia culturale.
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Da cosa ripartire?
Ho letto l’intervista di Donald Sassoon a L’Unità. L’ho trovata di grande interesse. Dice delle cose giuste. C’invita a recuperare Gramsci. È evidente che noi siamo da anni in crisi d’egemonia. Di fronte ai rischi del cambiamento ha costruito una forza nella società chi ha puntato su quelle paure, cercando di dargli una chiave reazionaria, conservatrice. Così sull’immigrazione, come sul negazionismo ambientale. È una sfida culturale oltre che politica. Anche questo è un tema. La parola cultura non può essere scissa dalla parola politica. La cultura politica di un grande partito di sinistra, come deve essere il Partito democratico, dobbiamo ridefinirla e non possiamo immaginare che lo si faccia chiudendo in una sala sempre gli stessi ottanta intellettuali come fece Enrico Letta per scrivere un manifesto che considererei già superato. La ridefinizione di un pensiero forte deve diventare una grande sfida collettiva e popolare. Tenendo conto che le linee di frattura che si sono aperte sono diverse da quelle di trenta o quaranta anni fa. I conflitti sono nuovi, le faglie si sono spostate e anche noi dobbiamo guardare al presente in modo diverso per progettare un futuro.
Il nuovo Pd si sta attrezzando a questa battaglia culturale e politica a cui accennavi?
È appena iniziata una fase nuova, nella quale dovremmo mettere da parti polemiche, che purtroppo continuano, che non mi sembrano all’altezza della fase. La vittoria della Schlein, e lo dice uno che alle primarie non ha votato per lei, ha prodotto sicuramente uno scatto positivo del Partito democratico. Ne ha cambiato la percezione. Lo ha ricollocato con maggiore forza identitaria. Il Pd viene oggi percepito con maggior freschezza, il che è sempre un fatto positivo. Lo ha riconnesso con piazze, movimenti, luoghi, che in passato lo guardavano con ostilità. Non era scontato. Non era nemmeno facile. Penso che dovremmo essere tutti felici nel Pd che la segretaria del Partito democratico non venga fischiata nelle piazze ma venga applaudita. Per chiunque ha a cuore la vita del Pd dovrebbe essere un bene e non un male. Va anche ricordato che appena è diventata segretaria, abbiamo dovuto affrontare la battaglia delle amministrative, che finisce questo week end e che è importante perché noi abbiamo tanti candidati in città importanti che possono diventare sindaci. Possiamo strappare delle città alla destra. Siamo in battaglia. Chiuse le amministrative, inizierà davvero il lavoro di costruzione. Lo vedremo. Bisogna volerlo fare. Anche su questo si misurerà la segreteria di Schlein. Dobbiamo cercare di farlo senza pigrizia intellettuale e politica, ricordandoci che siamo nel 2023 e non negli anni ’90 e quindi pensare che di fronte all’enormità dei cambiamenti di cui sopra, noi reimpostiamo la nostra dialettica interna e la nostra discussione nella contrapposizione tra riformisti e radicali, beh, sarebbe una follia. Una roba che quando avevo vent’anni aveva senso, oggi ne ho 48, ho due figlie, purtroppo un po’ di capelli in meno, e ricominciare una discussione in cui mi si spiega che il riformismo vuol dire non chiudere alla elezione diretta del presidente del Consiglio, mi sembra il giorno della marmotta. Ricominciare sempre la stessa discussione che non ha minimamente i piedi piantati nella realtà. Una roba vecchia. E quindi sbagliata. Noi dobbiamo cercare di costruire una lettura e una elaborazione nuove, contemporanee, cercando anche interlocutori diversi nella società, tenendo insieme l’elaborazione culturale e un progetto politico, che significa la costruzione di un’alternativa alla destra.
Non va sottovalutato, e questo è un tema enorme, che la sfida che ci lancia la Meloni è una sfida culturale e politica.
Come declinare questa sfida della destra?
Quello che loro stanno facendo è anche il tentativo di ricostruire una lettura della storia di questo Paese e indirizzarla culturalmente. Non è che occupano la Rai tanto per occuparla. Occupano la Rai per cercare di cambiare la percezione, l’immaginario, il racconto del Paese. Non a caso Fratelli d’Italia ha voluto ministeri come l’Istruzione e la Cultura. Quei ministeri sono alcuni dei luoghi attraverso i quali si ridefinisce l’identità dell’Italia, secondo loro. Che è già una idea sbagliata di quello che dovrebbero fare quei ministeri. Noi dobbiamo costruire un’alternativa culturale alla destra e, al tempo stesso, un’alternativa politica che significa spaccare quel blocco sociale che li ha resi maggioritari, costruendone un altro. Non solo contro ma costruendo un progetto che ridia a quella parte del Paese impaurita, fiducia nel futuro e l’idea che il futuro possa essere luogo e tempo in cui si sta meglio e non qualcosa da cui difendersi.
A proposito dell’occupazione della Rai come leggere le dimissioni di Lucia Annunziata?
È del tutto evidente che si sta costruendo un clima dentro l’azienda molto complicato per le persone libere. Un certo atteggiamento predatorio, e la volontà di indirizzare politicamente, ai danni del pluralismo, l’attività del servizio pubblico radiotelevisivo, per chi ha una storia, una credibilità e una idea di giornalismo da difendere, probabilmente è complicato per loro rimanere in un’azienda che annuncia queste cose.
Tra tante sfide che la sinistra deve affrontare c’è anche quella della difesa di un vero pluralismo nell’informazione?
Sì, ma qui c’è un tema più generale che non riguarda soltanto la Rai. Mi riferisco all’occupazione del potere da parte di questo governo. Un conto è il naturale spoil system che è fisiologico, altra cosa è l’idea che ogni angolo possibile debba essere occupato da gente che spesso non ha neanche i requisiti di professionalità per farlo. Noi vediamo quello che sta accadendo, dalle più grandi aziende di proprietà pubblica fino alle nomine più nascoste: il tentativo di sistemare, piazzare, occupare con gente che a volte ha titoli largamente inferiori a quelli dei tanti che vengono sostituiti, o a volte non ne ha proprio. E questo non solo è inaccettabile politicamente ma è un danno per il Paese.
Guardando al futuro dell’Europa non si può non parlare della guerra che da oltre un anno sta investendo il vecchio continente. La diplomazia è sempre quella delle armi, la politica latita. E la sinistra?
Dai tempi del Kosovo discutiamo a sinistra se sia lecito o meno l’utilizzo delle armi per sostenere anche processi diplomatici o rendere possibile l’apertura di un processo negoziale. Penso che non continuassimo a sostenere anche militarmente la resistenza ucraina non ci sarebbe alcuna possibilità per la pace perché la guerra sarebbe già finita e l’avrebbe vinta l’aggressore. Il che non sarebbe un meccanismo accettabile. È ovvio che il sostegno e il rafforzamento della posizione dell’Ucraina deve servire anche ad obbligare ad aprire un processo di pace. Cosa che prima o poi sarà inevitabile, speriamo il prima possibile. Più si moltiplicano gli sforzi diplomatici meglio è. Su questo l’Europa deve fare di più. Sarà importantissimo il ruolo che mi sembra iniziare a svolgere la Cina, sicuramente è importante lo sforzo del Vaticano. O noi chiamiamo tutti alla responsabilità della costruzione di un processo di pace o rischiamo di prolungare il conflitto e questo avrebbe un effetto ancora più drammatico in termini di vite perse, distruzione, violazione dei diritti umani. Spesso ho la sensazione che in Italia si discuta di questi temi più pensando alla ricaduta che hanno sulla politica interna che alla ricerca di una soluzione vera. E questo non va per niente bene.
Per tornare all’Italia. Palermo, Milano, Livorno. Manganellatori di Stato?
Sono fatti diversi l’uno dall’altro ma egualmente inquietanti. Una carica ad una manifestazione antimafia non si era mai vista. La vicenda milanese è sconvolgente. Al netto di quello che è avvenuto prima, una reazione del genere è ingiustificabile. Ma ce ne sono altre. Anche nella tanto discussa vicenda della contestazione alla ministra Roccella al Salone del libro di Torino, i contestatori hanno usato una modalità sbagliata per manifestare la loro contrarietà, ma comunque non violenta. Sono stati identificati dalla Digos e denunciati per violenza privata per avere urlato contro un ministro. Le urla contro un ministro sono “violenza privata”, reato punibile con diversi anni di reclusione. Quando Elly Schlein dice che questo governo ha un problema con la gestione del dissenso afferma qualcosa di vero. C’è un clima generale che finisce per trasmettere dei messaggi sbagliati . Il fatto che in momenti di questi casi non sia arrivata una parola chiara di condanna da parte del centrodestra per quello che era accaduto è abbastanza sconcertante.