I pestaggi di Stato
Intervista a Riccardo Noury: “Destra contro il reato di tortura, via libera ai poliziotti violenti”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Palermo, Milano, Livorno. I pestaggi di Stato. L’Unità ne discute con Riccardo Noury, portavoce e figura storica di Amnesty International Italia.
Palermo, Milano, Livorno, pestaggi di piazza crescono. Quale preoccupazione sollevano in Amnesty International?
C’è una doppia preoccupazione. Il tema della violenza delle forze di polizia nel corso delle manifestazioni è ricorrente, e da Genova ad oggi ha attraversato più di vent’anni. Se persino nel giorno in cui una manifestazione vuole commemorare e omaggiare un servitore dello Stato come Giovanni Falcone, altri servitori dello Stato impediscono che ciò accada e lo fanno con violenza, vuol dire che c’è un grande problema. La seconda preoccupazione è legata agli altri due episodi, in cui c’è un accanimento nei confronti di persone vulnerabili. Nel caso di Milano, una donna trans, nel caso di Livorno un cittadino straniero pestato perché aveva rubato una scatoletta di cibo per cani in un supermercato. Persone in condizioni di vulnerabilità su cui si ci accanisce con una esibizione di forza che non solo viola i diritti umani ma è proprio culturalmente grave.
Perché?
Perché ci si accanisce contro il singolo che è in una condizione di difficoltà. Aggiungiamo, almeno nel caso di Milano, una narrazione che ha coinvolto parte della stampa, che è da un lato assolutoria verso le forze di polizia, dall’altro criminalizzante e transfobica, una narrazione che si è peraltro nutrita di cose non verificate e anche smentite dalla Procura di Milano, per creare lo scenario dell’intervento inevitabile e proporzionato rispetto alla minaccia.
Si può dire che questi episodi rientrano in un clima generale di caccia al diverso e al più indifeso?
Direi di sì. La maggior parte dei funzionari dello Stato all’interno delle forze di polizia non hanno nulla a che fare con questo clima, svolgono il loro lavoro in maniera impeccabile. Ma in altri casi, sì. Chi all’interno delle forze di polizia, quella minoranza che è disponibile ad esercitare la sua professione in maniera non corretta, violando i diritti umani, avverte un clima intorno. E se all’interno delle istituzioni non c’è una forte cultura politica di tutela dei diritti umani ma anzi al contrario si mostra una intenzione di cedere sui diritti, di fare passi indietro, quest’area che si respira finisce per legittimare quel ricorso alla forza, sapendo di poter contare, tutto sommato, su una qualche forma o parte d’impunità. Quanto all’aria che tira vorrei aggiungere un’altra considerazione allarmata e allarmante…
Quale?
Nel momento in cui all’interno delle forze della maggioranza parlamentare si parla di modificare, e dietro questo verbo ce n’è un altro, annullare, la legge contro la tortura, questo è un altro segnale che arriva, di poter fare ciò che non si deve fare. Questo è un campanello d’allarme enorme. Sono al governo coloro che per ventinove anni, dal 1989 al 2017, si opposero, con mille argomenti spesso vuoti, spesso fallaci, al reato di tortura, che dimostravano quella intenzione, cioè di non volere la punizione dei responsabili di atti di tortura. Quello della tortura è un ‘sistema’. Un cerchio maligno che tiene insieme, solidali nell’impunità, coloro che ordinano, coloro che eseguono, coloro che negano. Ci sono più pentiti di mafia che pentiti di tortura.
Quando si parla di lotta per la difesa dei diritti umani, sembra sempre che si parli di altri, di Paesi e regimi totalitari, autocratici, liberticidi. Ma questa non è una battaglia prioritaria anche qui da noi?
Anche in Italia così come nel resto d’Europa. L’uso eccessivo della forza lo abbiamo visto anche in Francia durante le manifestazioni contro la riforma delle pensioni. Per quanto riguarda il nostro Paese, è evidente che non inizia ora, questo tema. Ma c’è un rischio oggi più concreto che in passato di tornare indietro sui diritti. E lo si fa con una narrazione trappola. Si dice noi non vogliamo togliere diritti, vogliamo “perfezionare”. Ce lo dicono sull’aborto, ce lo dicono sulla tortura, ma noi non crediamo a questo tipo di garanzie o di promesse. Gli obiettivi sono altri: fare passi indietro sui diritti.