L'autonomia dei Pm
Minacciava i testimoni, il PM Michele Ruggiero spostato al Nord
Giustizia - di Iuri Maria Prado
Avete presente l’autonomia e l’indipendenza della magistratura? Serve a tante cose: tra le quali permettere a un magistrato che usava violenza sui testimoni di continuare a fare il magistrato. Si tratta di Michele Ruggiero, al tempo pubblico ministero a Trani, il quale, con un suo sodale, interrogava i malcapitati prospettando manette e carcere (“Se non ci chiarite questa cosa, voi poi queste cose le spiegherete in manette davanti al giudice”; “Dal carcere c’è una visuale sul mare stupenda e secondo me a lei col problema che c’ha le fa pure bene”) e giungendo persino a minacciare il coinvolgimento dei loro parenti (“Tua moglie lo sa cosa hai fatto?”; “Non è che hai conti correnti intestati a qualcuno di sua conoscenza dove opera lei… sua figlia o suo figlio… dobbiamo coinvolgere anche loro?”).
Per queste leggerezze, quei due magistrati sono stati condannati definitivamente. E uno domanda: la magistratura libererà i propri ranghi da persone che si rendono responsabili di questi delitti, vero? Ma che domandi a fare. Certo che no. E infatti questo Ruggiero – come il sodale, pare – dopo una breve sospensioncella continuerà nel lavoro di processare la gente, soltanto un po’ più a nord, Piemonte e Lombardia.
Ora, come sarebbe considerato e trattato un cittadino comune che aspetta sotto casa un testimone e gli dice di stare attento perché se no finisce male, lui e i figli? Maluccio, immaginiamo. Non così due che usano una violenza dello stesso genere, ma in un’aula di giustizia anziché per strada e con una toga anziché col passamontagna. Il braccio intimidatorio della legge, diciamo.
Adesso bisognerebbe capire per quale motivo mai un cittadino dovrebbe ricorrere con serenità alla giustizia, o con serenità sottoporvisi, sapendo che gli può capitare un signore che si è abbandonato ai gravissimi delitti che il Consiglio superiore della magistratura abbuona in questo modo, consentendogli di giudicare le persone in nome del popolo italiano.
Palamara lo hanno sbattuto fuori in una mezzoretta, con un processo senza i testimoni che lui aveva chiamato e con il procuratore generale della Cassazione che spiegava sul Corriere della Sera (non un’intervista: un editoriale) che andava benissimo così. Qui invece non è bastato un processo durato anni, pervenuto a giudicato di condanna, per far insorgere l’ipotesi che forse, magari, tutto considerato, fatti i debiti conti, chissà, c’è caso di far cambiare lavoro a un magistrato che lavora in quel modo. Ma è appunto l’autonomia e l’indipendenza della magistratura: l’autonomia e l’indipendenza dalla decenza.