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Presidenziali in Turchia, al secondo turno Kılıçdaroğlu sfida il favorito Erdogan

Presidenziali in Turchia, al secondo turno Kılıçdaroğlu sfida il favorito Erdogan

Il “sultano” islamo-nazionalista o il “Gandhi” che per avere una chance in più guarda a destra e gioca la carta anti migranti? Il momento della verità è arrivato. Oggi, la Turchia dovrà scegliere se confermare Erdogan come presidente – come sembra succederà sulla base dei sondaggi – o cambiare guida e puntare sullo sfidante di opposizione Kemal Kilicdaroglu.
Ma a prescindere da chi vincerà il ballottaggio, sottolineano gli analisti politici, è difficile non notare come il Paese si stia muovendo verso un nazionalismo sempre più marcato. Questa caratteristica trasversale della politica turca ha raggiunto l’apice nell’ultima campagna elettorale, anche a causa dell’ultranazionalista Sinan Ogan, terzo incomodo in corsa per la presidenza. Le urne non lo hanno esattamente premiato: ha ottenuto il 5,27% dei voti. Ma la sua presenza ha costretto i due principali sfidanti a un’ulteriore sfida con il ballottaggio.

Anche Kilicdaroglu (44.9% al primo turno) ha puntato molto sul sentimento nazionalista per conquistare l’elettorato: negli anni scorsi non ha mai smesso di accusare Erdogan di aver tradito i valori fondanti della Repubblica, islamizzando il Paese e delegittimando la figura di Ataturk e i connotati della ‘Patria’ così come “i padri” l’avevano voluta. Le accuse a Erdogan non hanno però mai fatto davvero breccia nella popolazione, anche perché l’attuale presidente negli anni ha sempre usato molto la carta del nazionalismo. È lui ad aver legato la sua figura allo slogan ripetuto all’infinito mentre la mano fa il segno della ‘rabia’ (le quattro dita): “Una sola Patria. Una sola bandiera. Un solo popolo. Una sola nazione”.

Erdogan ha lanciato tre interventi militari in Siria, giustificati con la tutela della “sicurezza nazionale”. Non ha paura di mettersi contro gli Stati Uniti e l’Europa, di tenere in standby l’allargamento Nato e di rivendicare il successo dell’industria della Difesa. Il principale alleato dell’Akp di Erdogan è l’Mhp, letteralmente “Partito nazionalista del popolo”, guidato dall’ex lupo grigio Devlet Bahceli. Forza politica di estrema destra, è conosciuta soprattutto per il pugno duro nei confronti dei curdi. Mhp e Akp non sono però sempre andati d’accordo. Fino alla fine del 2015, il Partito nazionalista del popolo è stato con fierezza all’opposizione, senza risparmiare critiche di ‘tradimento della nazione’ a Erdogan, finito sul banco degli imputati nel 2015 per ‘essersi seduto al tavolo con chi ha ammazzato i nostri figli’, e cioè per aver imbastito lo storico processo di pace con il Pkk.

La più fedele alleata di Kilicdaroglu è l’ex ministra dell’Interno Meral Aksener, che nel 2017 ha fondato il partito Iyi, movimento nazionalista che oggi sfiora il 10%, portando con sé alcuni dissidenti dell’Mhp. Negli stessi anni anche Sinan Ogan si dissociò dal Mhp, di cui era parlamentare, in aperta polemica per l’alleanza con un movimento di matrice islamista come quello di Erdogan, considerato un tradimento dei valori della ‘patria’. Scomparso per qualche tempo dalla scena politica, è ricomparso in queste elezioni, dove ha rilanciato la propria figura con un programma incentrato sul ritorno ai valori della Turchia e della patria, dal rimpatrio dei siriani e dalla esclusione dei curdi dalla scena politica.

Il partito che ha portato più voti a Ogan è stato lo Zafer (Vittoria, ndr), fondato nel 2021. Il suo leader e fondatore, Umit Ozdag, non ha mai smesso di accusare il governo di politiche troppo morbide nei confronti dei siriani, di aver cambiato la demografia del Paese e aver ‘islamizzato’ la Turchia proprio attraverso la presenza dei profughi. Ozdag ha anche lanciato la campagna con una provocatoria raccolta fondi per comprare biglietti di bus di sola andata per i rifugiati siriani in Turchia. Adesso, al secondo turno, sosterrà Kilicdaroglu. In caso di vittoria potrebbe divenire ministro degli Interni. Negli ultimi giorni Kilicdaroglu ha moltiplicato i suoi appelli al leader dell’estrema destra, persino inasprendo le sue posizioni sui temi cari ai partiti nazionalisti, uno su tutti la presenza di milioni di rifugiati siriani in Turchia. “Lo annuncio qui. Rimanderò a casa tutti i rifugiati non appena sarò al potere, punto e basta”, ha dichiarato Kılıçdaroğlu.

“Per mesi ha parlato di inclusione, integrazione, differenza. Sai, noi daremo il benvenuto a tutti. Il nostro tavolo è aperto a tutti, ecc. E ora, nel giro di meno di dieci giorni, il candidato del Chp e il partito hanno fatto una svolta a destra”, annota il politologo Sinan Ciddi. Così stanno le cose. La destra ha imposto i suoi temi, le sue priorità, i suoi rancori. E questo è di per sé un segnale preoccupante per il futuro della Turchia, chiunque ne sarà il presidente.