La strada per ripartire
Come rifare la sinistra: ritrovare la passione del presente
Cultura - di Danilo Di Matteo
Del 2014 è il bellissimo libro del compianto Franco Cassano Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento, a cui dedicai un lungo articolo. Nel dopoguerra, pur tra sconfitte e tragedie come quella ungherese del 1956, si percepiva in effetti di essere in linea con la “freccia del tempo” e, appunto, della storia. Per dirla con il grande Giorgio Gaber, “oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente”.
In fondo, tuttavia, si trattò di appena tre decenni. E se ci volgiamo ancora più indietro, nei secoli, lo stesso Illuminismo, come fenomeno storico-culturale, non durò molto più a lungo. Forse ancor più breve fu il miraggio positivista del progresso. Ciò accadeva a livello culturale, certo, in quanto poi, comunque, le condizioni materiali di vita di milioni di persone tendevano a migliorare, pur a prezzo di aspre lotte e feroci repressioni, e crescenti erano le aspettative per il futuro.
Negli anni Ottanta del secolo breve, poi, il quadro era alquanto bizzarro. Oggi, infatti, possiamo iniziare a metterlo a fuoco nella giusta prospettiva. Se il “blocco” dei “paesi dell’est” appariva sempre più sclerotico e senza speranza, il Sud del mondo sembrava offrire una “prateria” sterminata. Non solo: in Italia il “duello a sinistra” tra il Pci e il Psi alterava la percezione della realtà della sinistra nel suo insieme. Il Garofano rosso craxiano, convinto di riuscire a intercettare il consenso dei “ceti medi emergenti”, neppure intravedeva i tempi duri, difficilissimi che attendevano tutti. Pensando addirittura di poter interpretare in maniera originale e feconda il “riflusso” che soffiava in Occidente e nel mondo.
Il Pci, dal canto suo, mosso dal bisogno di difendere le conquiste e i diritti faticosamente acquisiti dagli umili e dai deboli, non coglieva in tutta la sua portata l’evento fondamentale: il graduale venir meno del soggetto storico protagonista, in connubio con una porzione significativa dei ceti medi, di quelle conquiste, vale a dire la classe operaia. Attenzione: ancora vi erano (e vi sono) milioni di operai. Più che mai, anzi, occorrerebbe una politica industriale lungimirante, come sottolineava, con altri, Guglielmo Epifani. Il proletariato rurale e urbano, tuttavia, perdeva sempre più coesione e consapevolezza, e riusciva sempre meno a fungere da protagonista e motore del cambiamento. L’innovazione, anzi, era più subita che promossa.
Come ridestare o ridare slancio e linfa, dunque, a una sinistra tanto frastornata (non si dimentichi il 1989, con la caduta del Muro di Berlino)? E se essa non tornasse più ad avere il vento in poppa? Qui può venirci in soccorso la meraviglia, lo stupore, dal quale due millenni e mezzo fa prendeva le mosse la ricerca filosofica. Lo stupore e la meraviglia dinanzi a ciò che accade, da noi e altrove; la curiosità per quel che si muove (eppur si muove!), la tensione verso un mondo (e una città o un quartiere) meno ingiusto. La voglia di imparare e di capire, e di modificare le situazioni, di correggere le storture. Insomma, per evocare il titolo di un altro libro, questa volta di Giacomo Marramao: la passione del presente. Passione in grado di tradursi puntualmente in azione.