Il report
Rapporto di Antigone sulle nostre prigioni: suicidi, violenze e torture in meno di 3 metri quadri a testa
Giustizia - di Andrea Oleandri
Sovraffollamento, suicidi, violenze e torture. Il quadro che emerge dal XIX rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, racconta di un sistema penitenziario che ha urgente bisogno di interventi e riforme. Il sovraffollamento è un problema ormai endemico, certificato anche dai tribunali di sorveglianza che, solo nel 2022, hanno accolto 4.514 ricorsi di altrettante persone detenute (o ex detenute), che durante la loro detenzione hanno subito trattamenti inumani e degradanti, legate soprattutto alla mancanza di spazi.
All’indomani della condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Torreggiani, la Corte di Strasburgo, tra i rilievi mossi all’Italia, aveva segnalato anche la mancanza di meccanismi di rimedio interni a cui fare ricorso in caso di violazione – nel caso specifico – dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, quello che per l’appunto proibisce la tortura e il trattamento o pena disumano o degradante, anche in riferimento all’assenza dello spazio minimo vitale di 3 mq a persona detenuta. Era dunque intervenuta una modifica dell’articolo 35 dell’ordinamento penitenziario introducendo nuovi rimedi preventivi e risarcitori in favore dei detenuti o attraverso la riduzione della pena di un giorno per ogni dieci giorni passati in condizioni inumane e degradanti per chi si trova ancora in carcere mentre, per chi ha già ultimato di scontare la propria pena, il riconoscimento di 8 € per ogni giorno passato in tali condizioni.
Una situazione di sovraffollamento e di potenziale violazione dell’articolo 3 della Convenzione Edu che anche ancora oggi permane. Nel 2022, dai dati raccolti dall’osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone nelle 97 carceri visitate in tutto il paese, nel 35% degli istituti c’erano infatti celle in cui non erano garantiti 3 mq. calpestabili per ogni persona detenuta. Mentre il tasso di affollamento effettivo, al netto dei posti non disponibili, al 30 aprile 2023, era pari al 119%, con circa 9.000 persone di troppo rispetto ai posti realmente disponibili. In alcune regioni la situazione è ancor più preoccupante. In Lombardia, ad esempio, dove il tasso di affollamento è del 151,8%, in Puglia (145,7%) e Friuli Venezia Giulia (135,9%). Nel carcere di Tolmezzo l’affollamento è del 190%, a Milano San Vittore del 185,4%, a Varese del 179,2% e a Bergamo 178,8%.
Il sovraffollamento, oltre a limitare gli spazi vitali, toglie alle persone detenute anche possibilità lavorative, di studio o di svolgere altre attività. Facendo riferimento solo al tema del lavoro, al 31 dicembre 2022 i detenuti lavoratori erano 19.817, pari al 35,2% dei presenti. Tra questi vengono conteggiati anche coloro che, con turni a rotazione, lavorano poche ore al mese. Circa due detenuti su tre non avevano accesso ad alcuna forma di lavoro. La stragrande maggioranza dei detenuti lavoratori, ovvero l’86,8%, lavora alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, impegnata in piccole attività interne poco spendibili nel mondo lavorativo. Solo il 4,6% della popolazione detenuta lavora alle dipendenze di datori di lavoro esterni.
Da questo punto di vista non offrono grande aiuto le strutture. Nel 30% dei 97 istituti visitati da Antigone nel 2022 non c’erano spazi adeguati per le lavorazioni (e in 3 istituti – Fermo, Messina e Lecco – non c’erano nemmeno gli spazi per la scuola). Il sovraffollamento impatta poi anche sul lavoro degli operatori, già oggi al di sotto delle dotazioni previste nelle piante organiche. Per quanto riguarda il personale di Polizia penitenziaria, sono effettivamente presenti 31.546 unità. Per quanto siano del 15% inferiore rispetto a quelle previste in pianta organica, il rapporto è comunque di un poliziotto penitenziario ogni 1,8 detenuti.
Un problema enorme è quello che riguarda invece i funzionari giuridico pedagogici (educatori). Sono 803 quelli che lavorano nelle carceri italiane, a fronte dei 923 che sarebbero previsti in pianta organica. In media ciascun educatore deve occuparsi di 71 persone detenute ma singole situazioni presentano dati ben più preoccupanti: nel carcere romano di Regina Coeli, dove sarebbero previsti 11 educatori, ce ne sono invece solo 3, per un numero di detenuti che si attesta attorno alle 1.000 unità. Ogni educatore deve dunque occuparsi di oltre 330 persone detenute.
In questa condizione è difficile poter costruire percorsi personalizzati di reinserimento sociale, occuparsi tempestivamente delle relazioni che sono elemento fondamentale per i magistrati di sorveglianza per poter decidere in merito alla concessione di misure alternative alla detenzione. Fortemente sotto organico sono anche psicologi e psichiatri. Dalla rilevazione diretta di Antigone nel 2022 emerge come le diagnosi psichiatriche gravi ogni 100 detenuti siano state 9,2 (quasi il 10%). I detenuti che assumevano terapie psicofarmacologiche importanti quali stabilizzanti dell’umore, anti-psicotici o antidepressivi erano il 20%, una percentuale doppia rispetto a quella dei detenuti con una diagnosi grave.
Addirittura il 40,3% assumeva sedativi o ipnotici. A fronte di tutto ciò, le ore di servizio degli psichiatri erano in media 8,75 ogni 100 detenuti, quelle degli psicologi 18,5 ogni 100 detenuti. Benché ogni suicidio sia un caso personale, che dipende da tante dinamiche, le situazioni appena descritte – insieme ad altre che si aggiungono nella vita in carcere, come ad esempio il rapporto limitato con le famiglie a causa di norme su telefonate e colloqui molto stringenti – non possono che avere un ruolo nel numero altissimo di questi gesti estremi che si registrano nelle carceri italiane. 85 lo scorso anno, già 23 nei primi 5 mesi del 2023. Con un tasso di suicidi che in questi luoghi è 23 volte superiore a quello che si registra nel mondo libero.
*Responsabile comunicazione Antigone