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Cosa è e a cosa serve il Mes, il fondo salva stati che sbarca a Montecitorio il 30 giugno

Cosa è e a cosa serve il Mes, il fondo salva stati che sbarca a Montecitorio il 30 giugno

Il tempo della “melina” sul MES è finito: dopo un anno di propaganda filo-sovranista sulle presunte “trappole“ del nuovo strumento di assistenza ai paesi in crisi, la maggioranza di centro destra sembra ormai costretta a rinunciare alla retorica e a farsi carico delle proprie responsabilità, politiche e finanziarie, sia nei confronti dell’Europa che dei mercati finanziari.

L’Italia è non solo l’unico paese a non aver ancora ratificato l’accordo europeo sul MES, ma anche quello che sta ne sta letteralmente bloccando il cammino, creando incertezza e tensione in un momento di fortissima pressione sul debito per il balzo repentino dei tassi di interesse BCE. Il costo di questa “melina” senza sbocco è già stato altissimo per l’Italia: l’assenza di una rete di protezione sotto il maxi-debito italiano ha penalizzato le banche e spinto i rendimenti dei Btp decennali all’estrema periferia del mercato dei capitali europeo. Basti pensare che in meno di un anno, i tassi dei Btp sono balzati al 4,080%, sorpassando in volata sia i tassi del Portogallo (3,09%) che quelli della Grecia (3,7%) e della Spagna (3,25%).

Alla chiusura dei mercati di ieri, i tassi di riferimento italiani erano sui livelli di Bulgaria, Lituania, Repubblica Ceca e Polonia… i tradizionali fanalini di coda della finanza continentale. In cifre, significa che il governo dovrà sicuramente affrontare presto un sostanziale aumento del costo del servizio sul debito pubblico, che salirà (come ha calcolato anche Fitch) al 4% del PIL nel 2024 e al 4,4% del PIL nel 2026, dal 3,4% pre-pandemia. Questo aumento è dovuto principalmente all’impatto dei tassi di interesse più elevati sul rifinanziamento del debito in scadenza, ma anche alla quota considerevole del debito a tasso variabile, balzato in poco tempo all’11% del totale.

Particolarmente pericolosa è soprattutto la dinamica dei rendimenti delle obbligazioni indicizzate all’inflazione, che rappresentano ora il 13% del debito totale: più sale l’inflazione (o resta alta), più il costo del loro servizio aumenta. Questa spirale negativa, ovviamente, sarebbe stata persino peggiore senza l’intervento della BCE: l’istituzione del Transmission Protection Instrument (TPI), ha permesso ai Titoli di Stato di contenere intorno al 2% lo spread sui Bund tedeschi. Ma è proprio qui che il problema della mancata ratifica del MES rischia di esplodere in mano all’Italia: “Fino a quando non saranno approvate e attuate tutte le nuove regole fiscali dell’UE (patto di stabilità e Mes) – hanno messo in guardia il governo le agenzie di rating – è difficile valutare se l’Italia rispetterà i criteri di ammissibilità del TPI”.

Non è un caso se lo stesso allarme lo abbia lanciato il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco: “non appena sarà pienamente operativa, la riforma del MES -ha detto il governatore- potrà svolgere un ruolo importante fornendo una rete di sicurezza finanziaria al Fondo di risoluzione unico delle crisi bancarie”. Nelle sue “considerazioni finali”, Visco ha rilevato come i recenti fenomeni di instabilità nel settore bancario emersi fuori dall’Unione europea mostrino chiaramente “l’importanza di portare a compimento le riforme, a partire dall’unione bancaria”.

In un contesto internazionale e finanziario sempre più rischioso e complesso per l’Italia, come è evidente, lo spazio per retorica e demagogia sparisce. O almeno questa è la speranza. Vedremo che cosa succederà il 30 giugno, quando Montecitorio avvierà finalmente la discussione generale sulla ratifica del MES. La speranza dell’opposizione è mettere all’angolo il governo su uno dei tavoli difficili con Bruxelles, che da tempo insiste perché Roma arrivi alla ratifica.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva precisato che il congelamento del dossier “non è un ricatto” nei confronti della Commissione Ue: se è così, è l’ora di dimostrarlo. Perché il rischio, è soprattutto quello di complicare altre trattative con l’Europa estremamente delicate, dalla riforma del Patto di stabilità (in particolare sullo scorporo di alcune spese) e quella ben più delicata sulle correzioni del Pnrr, su cui il Governo è già in grande difficoltà. E del resto, non è ancora arrivato il via libera alla terza rata di dicembre.

Comunque sia, è chiaro che la resistenza del governo a ratificare il MES ha davvero poche giustificazioni, politiche e finanziarie. Il Mes ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi, di cui 80,5 sono stati versati; la sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi. L’Italia ha già sottoscritto il capitale del Mes per 125,3 miliardi, versandone oltre 14. I diritti di voto dei membri del Consiglio sono proporzionali al capitale sottoscritto dai rispettivi paesi. Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15 per cento e possono quindi porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza. Non solo.

Il cosiddetto fondo salva stati, nella sua nuova versione, avrà anche un ruolo strategico nei salvataggi di banche in crisi, oltre a concedere assistenza finanziaria ai Paesi con un debito sostenibile ma che siano in difficoltà. Tutto in cambio di una rigorosa condizionalità e di un programma di aggiustamento macroeconomico sotto il controllo di Commissione, Fmi e Bce: onorare gli impegni, è la migliore garanzia di un debitore.