Strage di Cutro, indagati per non aver soccorso i migranti
Fatte perquisire ieri dalla Procura di Crotone le sedi di Guardia costiera, GdF e Frontex. Sequestrati cellulari e pc. Tre mesi dopo
Cronaca - di Angela Nocioni
Carabinieri del Nucleo operativo del Comando provinciale di Crotone nelle sedi della Guardia costiera, della Guardia di finanza e di Frontex (l’agenzia europea che pattuglia il mare dal cielo). Mandati lì ieri mattina con provvedimento di perquisizione e di sequestro di telefoni e computer dal procuratore Pasquale Festa, titolare dell’inchiesta sul mancato soccorso al caicco “Summer love” schiantatosi nelle prime ore del 26 febbraio a pochi metri dalla costa di Cutro, in Calabria.
Senza che nessuno sia andato in soccorso di quel trabiccolo di legno con una stiva carica di decine di bambini – non si è mai saputo quanti – avvistato già due giorni prima e già segnalato come probabilmente sovraffollato sottocoperta e senza giubbotti di salvataggio. Ci sono i primi indagati. L’ipotesi è il mancato soccorso, dalla quale può scatutire l’ipotesi di procurata strage. Novantaquattro corpi trovati. Trenta dispersi. Le ricerche si sono ufficialmente chiuse pochi giorni fa.
Erano talmente tanti i corpicini di bambini portati a riva dai sommozzatori che in tutta la Calabria e nelle regioni vicine non sono state trovate bare bianche sufficienti. Di solito i bambini non muoiono. In molte di quelle bare marroni disposte in fila nel Palazzetto dello sport di Cutro, dove la presidente del consiglio Giorgia Meloni e i ministri del suo governo non si sono mai presentati per timore di essere contestati, c’erano chiusi cadaveri di bambini finiti in bare molto più grandi di loro.
La procura di Crotone, il cui capo è Giuseppe Capoccia, dopo qualche settimana dalla strage si è decisa a indagare per ricostruire le catene di comando delle operazioni (mancate) di quella notte nel ping pong di omissioni e reticenze tra Guardia di finanza e Guardia costiera continuato per giorni e giorni mentre il governo tentava di scaricare ogni responsabilità su Frontex e veniva da Frontex smentito punto per punto: noi abbiamo avvisato subito Roma – ha detto Frontex – era Roma che doveva decidere se realizzare un’operazione di polizia per contrasto all’immigrazione o se avviare un’operazione di soccorso a potenziali naufraghi. Qualcuno ha deciso per l’operazione di polizia. Nonostante le previsioni meteo marine fossero di un brusco peggioramento. Nonostante chiunque abbia anche una vaga idea di come sia fatto un caicco – figurarsi i militari della guardia costiera – sa che ha una carena bassa e larga.
Quindi sa che una barca di quel tipo non si deve lasciar avvicinare alla costa in cattive condizioni del mare. Tanto meno se si tratta di una costa con secche e scogli, come quella di Cutro. Tanto meno se da 48 ore è stato segnalato che quella stiva è probabilmente piena di migranti. E che fosse probabilmente piena di migranti era chiaro, altrimenti non sarebbe stata avviata una operazione di polizia di contrasto all’immigrazione. La procura sta tentando di ricostruire da chi davvero e come esattamente fu presa quella cieca decisione di aspettare coi piedi asciutti che il caicco arrivasse da solo. Di non aspettarlo nemmeno, in realtà, non a riva. Perché i primi soccorsi sono stati dati da una pattuglia di carabinieri dopo una telefonata di allarme.
E, arrivati di fronte al mare, i carabinieri della volante non hanno trovato nessuno a parte i morti. La procura suppone che non le siano state fornite finora tutte le informazioni su come fu il flusso delle comunicazioni e quindi dell’avvicendarsi dei centri decisione quella notte. Quindi sequestra telefoni e pc per setacciare quel che c’è lì dentro. O quel che è rimasto, dopo tre mesi. Di certo si sa che l’aereo Eagle1 di Frontex, dopo aver avvistato il caicco, lo ha tenuto d’occhio girandogli sopra in cerchi concentrici.
Delle comunicazioni avvenute tra la sede di Frontex e Roma manca qualcosa agli atti. Manca anche il riscontro del flusso delle comunicazioni seguito alle note scritte a mano dagli operatori del Centro coordinamento delle capitanerie di porto (il Mrcc di Roma), composto dalla Guardia costiera, dopo aver ricevuto informazione dell’avvistamento di Frontex.
È un dato acclarato anche che all’alba di sabato 25 febbraio, alle quattro e cinquantasette, il Mrcc invia una allerta distress, che vuol dire “nave in possibile pericolo”, a tutte le imbarcazioni nell’area dello Jonio. Alle 4 e 57. Sono 17 ore prima dell’avvistamento del caicco “Summer love” con «forte rilevazione di estesa area di calore sottocoperta» da parte dell’aereo di Frontex. Sono quasi 24 ore prima del naufragio. (La notizia dell’allarme diramato dal Mrcc è stata data, e mai smentita, da Sergio Scandura di Radio radicale). A cosa si riferiva quell’allerta? Da chi l’Mrcc aveva avuto segnalazione? La Guardia costiera ufficialmente non l’ha mai spiegato.
Ed è fondamentale che lo faccia per chiarire innanzitutto il suo comportamento nelle 24 ore successive. «Una stazione radio italiana ha ricevuto un mayday (un sos n.d.r.) riguardo una barca in pericolo. Tutte le imbarcazioni nell’area dello Jonio stiano in allerta» ordina il dispaccio inviato tramite InmarSat C. In quel dispaccio sta scritto pure che l’Mrcc ha aperto in quel momento (24 ore prima del naufragio) un evento Sar con il numero 384. Si tratta dell’atto burocratico con cui si apre la procedura per un salvataggio.
La Guardia costiera non ha mai spiegato se quell’evento Sar 384, dopo averlo aperto, l’ha anche chiuso. E, in caso, come l’ha chiuso e perché. È fondamentale saperlo. È arrivata forse un’altra barca di cui non è stata data notizia? Questo non risulta a nessuno. Le barche non evaporano. Non è stata individuata nessuna altra imbarcazione? Sono passati tre mesi e – nonostante pubbliche difese in tv di uffi ciali del corpo – nessuno l’ha ancora chiarito.