Quando sono andati ad arrestarli hanno capito. Hanno capito ma non si sono lasciati, sono rimasti abbracciati, come erano prima. Sono stati poi gli aguzzini a separarli, a sostituire con il freddo metallico delle manette il calore delle loro mani. Mehrdad Karimpou e Farid Mohammadi, questi erano i loro nomi, hanno avuto immediatamente un regolare processo.
“Regolare” nell’accezione del diritto vivente islamico: con un giudice, un giudice vero nominato secondo quelle leggi, con un regolare capo d’imputazione ispirato agli articoli 114-119 del codice penale iraniano che così recita: “sono puniti con la pena di morte coloro che, raggiunta l’età adulta, compiono atti ‘sodomitici’ per la quarta volta consecutiva”. Si trattava di persone che dovevano conoscere la legge, dovevano conoscere il Corano e seguire le sue regole. Avevano stravolto le regole primarie della natura, partecipando a turpi pratiche. Avrebbero dovuto essere perdonate? essere lasciate andare? Hanno avuto il permesso di rispondere alle accuse e difendersi: gli è stato concesso; potevano parlare nel corso del processo, replicare ciò che volevano.
Una volta però che era accertata la loro colpevolezza, non c’era certo bisogno dell’avvocato e men che meno dell’appello. Questo è ciò che stabilisce il loro incontestato codice di procedura: niente eccezioni, niente opposizioni, c’è il diritto divino che vede e provvede, la difesa come la interpretiamo noi è un semplice orpello. E così è andata a quei giovani innamorati, condannati a morte e portati al patibolo, nella prigione di Maragheh, dopo sei anni trascorsi nel braccio della morte. Trascinati davanti al boia, avvolti nella corda e poi impiccati, fino a quando l’ultimo alito di vita se ne era andato via.
In una celeberrima intervista di Oriana Fallaci all’Iman Khomeini la giornalista italiana chiese “È giustizia, secondo lei, fucilare una povera prostituta o una donna che tradisce il marito o un uomo che ama un altro uomo?” Il capo religioso Iraniano, Sua Eccellenza Santissima e Reverendissima Ruhollah Khomeini, dopo aver sbirciato con sguardo severo quell’impertinente donna rispose: “Le cose che portano corruzione a un popolo devono essere sradicate come erbe cattive che infestano un campo di grano. Lo so, vi sono società che permettono alle donne di regalarsi in godimento a uomini che non sono loro mariti, e agli uomini di regalarsi in godimento ad altri uomini. Ma la società che noi vogliamo costruire non lo permette. Nell’Islam noi vogliamo condurre una politica che purifichi. E affinché questo avvenga bisogna punire coloro che portano il male corrompendo la nostra gioventù. Sì, i malvagi vanno eliminati: estirpati come le erbacce”.
Ecco Mehrdad e Farid rappresentavano un’erbaccia nel campo di grano e per l’interesse del popolo Iraniano dovevano essere uccisi. E così è stato. Esser giustiziati con la morte per amore, non servirà però di esempio, non sarà mai un monito per gli innamorati… per gli innamorati degli uomini o per gli innamorati della giustizia. Solo chi non ha mai amato potrà pensare che l’amore possa essere ucciso. Nel mio giardino ho piantato molti fiori: ci sono le rose, ci sono i gerani e in casa ho le orchidee. Li curo con pazienza e dedizione. Poi un giorno, dalla pietra che costeggia il prato è sbucato un rosmarino, un rametto. Mi son chiesta come avesse fatto e poi, senza indugio, l’ho tagliato.
Ma dopo poco tempo è sbucato ancora e io, lesta, l’ho tagliato un’altra volta: non potevo permettere che quella pianta diversa potesse turbare l’armonia del mio giardino. Non è servito a nulla, il rosmarino è nuovamente sbucato dalla pietra. E allora ho capito e l’ho lasciato. Ora è una pianta grande, bella e profumata e, nella stagione giusta, fa i fiori. Chissà cosa pensava Mehrdat quando con gli occhi pieni di pianto veniva trascinato davanti al boia. Chissà qual è stata l’ultima immagine che Farid ha potuto osservare prima che il sipario della morte calasse sul suo viso.
Certamente quel giorno con loro non è morto il sentimento, certo è che la loro storia continuerà ad ardere sotto l’apparente grigiore della cenere. Se ne parlerà a voce bassa nelle case, sarà rievocata da qualche operaio nelle fabbriche e poi dagli studenti nelle università. Certo è che in un giorno vicino un Giudice Iraniano entrerà in aula e pensando a loro farà veramente giustizia. E quel giorno per il popolo Iraniano comincerà la rivoluzione, quella vera.