Parola al professore
Intervista a Giovanni Fiandaca: “Nelle prigioni si vive un dramma”
«Nordio ha un vasto programma, ma l’opposizione può venire pure dalla sua stessa maggioranza. Le sentenze possono criticarle tutti: politici e comuni cittadini»
Editoriali - di Angela Stella
Il professor Giovanni Fiandaca, emerito di diritto penale all’Università di Palermo e già Garante dei diritti dei detenuti siciliani, sul piano delle riforme della giustizia non esprime molto ottimismo: tra correnti giustizialiste all’interno della stessa maggioranza e l’opposizione dei magistrati sarà difficile portare avanti le riforme previste. Sulla possibile alleanza Pd e Cinque Stelle ci dice: esito dannoso.
Lo scorso 9 maggio la premier Giorgia Meloni avrebbe risposto “Così si aprono troppi ambiti” sollecitata sulla separazione delle carriere dal leader di Azione Carlo Calenda durante l’incontro organizzato proprio per discutere di riforme istituzionali. Secondo lei la riforma verrà sacrificata sull’altare del presidenzialismo?
Sospetto che la premier tema che perseguire sul serio l’obiettivo riformistico della separazione delle carriere provochi un conflitto esplosivo con la magistratura, con effetti negativi difficilmente gestibili in vari sensi e direzioni.
A suo parere l’opposizione più forte per Nordio è l’Anm?
L’opposizione a Nordio può provenire, anche se non sempre esplicitamente, da diversi versanti, pure interni all’attuale maggioranza di Governo.
Nordio ha illustrato un preciso cronoprogramma di riforme: abuso di ufficio, traffico di influenze, misure cautelari, limiti all’appello del pm, informazione di garanzia, mettendo in panchina, quindi come step immediatamente successivo, la riforma della prescrizione e quella della figura del pubblico ufficiale. Programma ambizioso?
Vasto programma in effetti. C’è da tenere presente che non tutte le attuali forze politiche di Governo ne condividono la prevalente ispirazione garantista. Già sono emerse dal fronte giudiziario autorevoli prese di posizione che ad esempio obiettano che l’abolizione dell’abuso di ufficio indebolirebbe il contrasto alla corruzione o che la previsione di un collegio di tre giudici per autorizzare l’arresto creerebbe grosse disfunzioni specie negli uffici giudiziari medio-piccoli. È possibile che obiezioni di questo tipo facciano breccia nello stesso partito della Meloni, nel quale continuano verosimilmente a prevalere inclinazioni giustizialiste-punitiviste. In ogni caso, anche io ritengo che reati come l’abuso di ufficio e il traffico di influenze andrebbero riscritti.
Qualche giorno fa il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, intervenendo al Festival dell’economia di Trento, ha detto: “Riforme: io spero che nella magistratura non troveremo delle resistenze come purtroppo è accaduto nel passato, forse anche per delle iniziative sbagliate o forse per delle iniziative imprudenti o eccessive, però va chiarito una cosa, che le leggi le fa il Parlamento. Non esiste da parte del magistrato né il diritto creativo, ovvero di interpretare le leggi come gli pare sostituendosi al legislatore, né il diritto di criticare il merito delle leggi, a meno che non si riconosca al politico il diritto di criticare le sentenze. E questo non andrebbe bene né in un senso, né in un altro’’. Che ne pensa?
Confesso che queste affermazioni di Nordio mi lasciano perplesso. Condivido la sottolineatura che le leggi le fa il Parlamento e che ai magistrati non è concesso – per dir così – il libertinaggio interpretativo. Condivido meno le affermazioni restanti. È vero che non spetta al potere giudiziario stabilire il contenuto delle riforme, ma è altrettanto vero che la magistratura può e deve interloquire per segnalare l’impatto che a suo giudizio gli interventi riformistici possono provocare in termini di contrasto ai fatti criminosi o di funzionamento della macchina giudiziaria. Certo, l’ultima parola spetta al potere politico. Ciò premesso, non è neppure chiaro cosa Nordio intenda dire quando esclude che i politici abbiano il diritto di criticare le sentenze. La vigilanza critica sull’operato del giudici, nel senso di vagliare la fondatezza argomentativa e il rigore probatorio dei loro provvedimenti, spetta – come ad esempio Leonardo Sciascia si preoccupava di sottolineare alcuni decenni fa – a tutti i rappresentanti dell’opinione pubblica di un Paese democratico, compresi i comuni cittadini. Ben altra cosa rispetto al libero diritto di critica costituzionalmente garantito sarebbe, ovviamente, una pregiudiziale e sistematica contestazione della funzione giurisdizionale o una preventiva e generalizzata disobbedienza a quanto le sentenze dispongono.
Il procuratore di Palmi Emanuele Crescenti, al centro di una polemica a distanza con Alessandro Barbano sulla sostenibilità delle misure di prevenzione, ha detto al Dubbio: «Non possiamo pensare di trasferire tutte le garanzie del processo penale nei procedimenti su sequestri e confische». Concorda?
Ho letto e apprezzato il saggio di Barbano, e commentandolo alcuni mesi fa sul Foglio, ne ho messo in evidenza pregi e limiti. In sintesi, rilevo che a mio giudizio, peccano per eccesso sia un attacco critico frontale all’intero sottosistema delle misure di prevenzione, sia una sua difesa incondizionata ai limiti del dogmatismo. Ci sono parti buone e alcune parti che necessiterebbero di essere rivedute in una prospettiva di costituzionalismo garantista. Bisognerebbe evitare comunque le guerre di religione tra fazioni contrapposte, ma temo che i tempi non siano ancora maturati per ragionare su questa divisiva materia con costruttiva pacatezza.
Il quadro allarmante emerso dall’ultimo rapporto Antigone: nel 35% degli istituti celle sotto i 3 mq per persona, senza riscaldamento e acqua calda. Possibile che nessuno Governo abbia il coraggio di prendere in mano la situazione?
Colpevoli di insufficiente attenzione e sensibilità per la drammatica situazione carceraria del nostro Paese sono tradizionalmente quasi tutti i partiti e tutti i governi che si sono succeduti nel corso degli anni, a prescindere dall’ispirazione politica di volta in volta predominante. Imputo alle forze cosiddette progressiste di essersi fatte troppo condizionare da preoccupazioni securitarie anche in chiave di consenso elettorale. Ma questo cedere a pulsioni giustizialiste ha comportato un grave tradimento del costituzionalismo penale. Spero che non sia ormai troppo tardi per auspicabili inversioni di tendenza.
Secondo Lei il Partito Democratico si sta comportando da vero partito di opposizione? E ha bisogno davvero del Movimento Cinque Stelle per battere la destra?
Rientro da tempo tra quanti pensano che l’abbraccio tra Pd e Cinque stelle possa essere esiziale anche perché escluderei che i pentastellati possano davvero essere inclusi in un fronte credibile di possibile sinistra.