Il conduttore in cella
Quel messaggio dal carcere di Enzo Tortora su un’arancia: “Non dimentico. Con amore, Enzo”
Il ricordo della compagna Francesca Scopelliti. "I giovani hanno bisogno di modelli, Enzo lo è stato perché ha dimostrato che, malgrado tutto, bisogna sempre avere fiducia nello Stato". Il regista Marco Bellocchio al lavoro su una serie sulla vicenda del conduttore
Giustizia - di Antonio Lamorte
Anche su un’arancia Enzo Tortora scriveva dal carcere, dell’amore e della sete di Giustizia che non lo abbandonava nel suo calvario giudiziario. “Non dimentico. Con amore, Enzo”. Su un’arancia aveva scritto alla fidanzata Francesca Scopelliti, sua giovane compagna al momento dell’arresto a favor di telecamere per associazione camorristica e traffico di droga, un caso che ha sconvolto l’Italia, l’episodio di mala Giustizia più noto ed emblematico nella storia della Repubblica. Il conduttore più noto della televisione italiana venne arrestato il 17 giugno 1983. Passò 271 giorni in carcere e fu condannato a 10 anni. Il 15 settembre 1986 fu assolto con formula piena in Appello. Quei giorni sono stati ricordati in un lungo articolo del settimanale Sette de Il Corriere della Sera.
“Mi sentii sprofondare in un incubo. Associazione camorristica? Traffico di droga? Pazzesco, incredibile, me lo feci ripetere tre volte. Non era vero, non poteva essere vero”, ha ricordato Scopelliti. Proprio in quei mesi Tortora, dopo essersi separato dalla moglie si era legato sentimentalmente alla giovane giornalista 31enne conosciuta durante un’intervista. Lui ne aveva 54. “Al momento dell’arresto stavamo insieme da sei-sette mesi. Il colpo di fulmine fu di Enzo, io ero molto più restìa. Non volevo fosse un’avventura. Ma lui mi conquistò con quella sua galanteria innata, da uomo dell’Ottocento”. La relazione venne a galla dopo che due lettere dal carcere vennero rubate e mandate a una rivista. Soltanto la sorella Anna e i più stretti collaboratori di Enzo erano a conoscenza della relazione. Quell’arancia non si è mai deteriorata, Scopelliti la ebbe tramite una fidata collaboratrice e la conserva ancora.
La compagna alcune delle missive le fece pubblicare grazie alle Camere Penali in Lettere a Francesca, che lui chiamava Cicciotta. Lei non poteva andarlo a trovare in carcere, provava a farsi passare per giornalista. Lui aveva il pudore di non farsi vedere in condizioni difficili. “Qui tutto è infinitamente (per me, assurdamente) difficile, burocratico, lunare. Mi tiene in piedi solo la volontà di dimostrare a quelli che amo che sono innocente, e di uscirne a testa alta. Ma è stato atroce, Francesca: uno schianto che non si può dire – scriveva dopo qualche giorno dal carcere di Regina Coeli – Se è possibile questo, è possibile tutto. Sono cambiato dentro, credimi. Sono diverso. Amaro, distrutto”. Dopo gli arresti domiciliari concessi nella casa di via dei Piatti 8 a Milano il 20 gennaio 1984, il leader dei Radicali Marco Pannella lo convinse a candidarsi al Parlamento Europeo. “Enzo gli disse: ‘Tu sei un pazzo a propormelo, io più pazzo di te ad accettare’. Intraprese quella strada perché voleva dare voce a chi non l’aveva”.
La condanna a dieci anni di carcere arrivò con la definizione: Cinico mercante di morte. “Fu la stessa pubblica accusa, nella persona di Michele Morello, a smontare pezzo per pezzo l’inchiesta e a chiedere di annullare la condanna. Enzo credeva nello Stato di diritto, fu sempre certo che alla fine la giustizia avrebbe trionfato. Si commuoveva se sentiva la banda dei Bersaglieri, si figuri. Non poteva pensare che sarebbe finita male”. Quando tornò in televisione, a Portobello, lo fece con una frase rimasta nella storia: “Dove eravamo rimasti?”. Le sue battaglie politiche si concentrarono sulle condizioni delle carceri e sul referendum sulla responsabilità civile dei magistrati.
Pochi giorni dopo l’assoluzione piena aveva avvertito i primi sintomi di un cancro ai polmoni. “Per la nobiltà della sua battaglia lo affianco a Gandhi, Mandela, Kennedy. È stato l’esempio di un uomo che ha combattuto per una causa giusta, non solo per sé. Da quando ci ha lasciato, anche attraverso la fondazione a suo nome, vado nelle scuole e dovunque mi chiamino per ricordare la sua storia. I giovani hanno bisogno di modelli, Enzo lo è stato perché ha dimostrato che, malgrado tutto, bisogna sempre avere fiducia nello Stato”. Il regista Marco Bellocchio ha deciso di dedicare a Enzo Tortora una serie.