Parola al membro dem
Intervista a Cesare Damiano: “Il Pd faccia proposte su lavoro e welfare”
«Schlein ha acceso una speranza, ma il cammino è ancora lungo. Passiamo dalla fase dell’“effetto” al tempo del lavoro di squadra»
Editoriali - di Umberto De Giovannangeli
Cesare Damiano, una storia nel sindacato e nella sinistra. Già ministro del Lavoro e della previdenza sociale nel governo Prodi (il suo nome è legato all’attuazione della riforma del Tfr), parlamentare per più legislature, membro della Direzione nazionale del Pd, Damiano è anche presidente dell’Associazione Lavoro&Welfare.
“La classe operaia non ha nulla da sperare da questo e da quest’altro ministro; la classe operaia non può fare affidamento che in sé stessa. Ogni decreto, ogni disegno di legge non sono che pezzi di carta per i padroni, la cui volontà può trovare un limite solo nella forza medesima degli operai». Così scriveva Antonio Gramsci sull’Ordine Nuovo l’8 agosto del 1921. Riproporlo oggi è un’eresia?
Quando Enrico Letta era ancora segretario, intervenendo a una Direzione del PD, ho posto una domanda: “Come mai un partito che si dichiara di sinistra o, almeno, di centro-sinistra non intercetta più il voto degli operai e dei ceti popolari?”. Mi sono dato la risposta da solo: dichiarate morte le ideologie per abile mano della ideologia neoliberista (che paradosso!) che ci ha fatto credere che la differenza tra destra e sinistra non esistesse più, non solo abbiamo dimenticato la lezione di Norberto Bobbio ma, inevitabilmente, ci siamo frettolosamente acconciati al venir meno dell’orizzonte valoriale che dovrebbe costituire la spina dorsale di qualsiasi Partito. In un certo senso abbiamo venduto l’anima e abbiamo identificato il nostro Programma fondamentale con l’obiettivo di governare a ogni costo. A dispetto dei santi e degli elettori. Siamo stati quelli che hanno votato la legge Fornero e il Jobs Act. Se approvi misure che sono contro gli operai, come puoi pensare che poi ti votino? E non è più bastato affrontare ex post una tragedia come quella degli esodati attraverso le “salvaguardie” che, per fortuna, hanno restituito la pensione a 150mila lavoratori grazie all’azione tenace del Partito Democratico. Non è più bastato temperare, correggere, addolcire, nella battaglia parlamentare, la scelta del Jobs Act di rendere più liberi i licenziamenti, come pure abbiamo fatto come parlamentari del PD della Commissione Lavoro, contrastando il nostro stesso Governo. Pagando personalmente con l’esclusione dal Parlamento la conduzione di quella giusta battaglia, per mano di Renzi e del suo cerchio magico. Ci siamo persino dimenticati che la Consulta ha dichiarato incostituzionali alcuni articoli sia della legge Fornero sui licenziamenti illegittimi che dello stesso Jobs Act sull’indennizzo automatico delle tutele crescenti, ripristinando l’obbligo di reintegra nel luogo di lavoro. Qualcuno, a sinistra, ne parla?
Bella domanda. E la risposta?
Non rappresentiamo neanche più il ceto medio, che intanto si è proletarizzato, e le nostre simpatie si trovano maggiormente, non dico tra i ricchi, ma tra gli “abbienti” e tra coloro che “ce l’hanno fatta”. Vi ricordate la narrazione renziana e il suo insegnamento, “siate arroganti”, agli studenti del Sant’Anna di Pisa? Per non parlare dei disastri delle riforme del Titolo Quinto e delle Province. Se perdi l’orizzonte non puoi tenere la barra dritta e l’obiettivo principale diventa, al massimo e inevitabilmente, l’occupazione dei posti da assegnare ai componenti della tua corrente. Dunque, tornando alla domanda: la classe operaia, che dall’inizio degli anni ‘80 ha perso la sua centralità e le sue tutele ed è stata seriamente ridimensionata anche dal punto di vista numerico dall’evoluzione dei modelli produttivi, “non può fare affidamento che in se stessa?” Al momento i lavoratori fluttuano nel voto tra Lega, Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia, alla ricerca di un Partito che si occupi di loro: il PD è solo al quarto posto nelle preferenze. Non basta dire che siamo contro la precarietà, bisogna anche dire come, con quali proposte. Non è sufficiente la battaglia parlamentare, ad esempio sul Decreto Lavoro, che pure si sta facendo al Senato con decine di emendamenti. Bisogna costruire una battaglia popolare, portarla nel Paese e dire agli operai: ci battiamo per voi, per rendere strutturale il cuneo fiscale per il lavoro a tempo indeterminato che vi porta 90 euro al mese in busta paga, ma che, nella strombazzata scelta del Governo, porterà questo beneficio solo da luglio a dicembre di quest’anno; vogliamo eliminare l’assurda discriminazione che consente di accedere fino a 3.000 euro di fringe benefits per i lavoratori, da spendere nel loro welfare aziendale, solo a condizione che abbiano dei figli; vogliamo, per i giovani, che non si allarghino le maglie dei contratti a termine e dei voucher. È un esempio. Un tempo si sarebbe detto: scrivere una piattaforma politica e farla conoscere agli iscritti e agli elettori. Facciamo vivere una capacità di proposta autonoma del Partito e di positiva dialettica con i Gruppi parlamentari. Siamo un Partito, non un Movimento.
Lavoro, pace, cambiamenti climatici, migrazioni. Può esistere una sinistra che investe sul futuro che non abbia un pensiero forte sulle grandi sfide del presente?
Sul lavoro ho già detto: per essere all’altezza della sfida della digitalizzazione dei processi produttivi, della transizione ecologica, del gelo demografico che mette in discussione la tenuta del mercato del lavoro e la sostenibilità dello Stato sociale, del nuovo rapporto tra tempo di vita e di lavoro richiesto dalle giovani generazioni, per dare una risposta all’ampliamento del lavoro sottopagato e discontinuo, propongo alla segretaria Elly Schlein di tenere, in autunno, una grande Conferenza Programmatica sul lavoro e sul welfare. Questi temi vanno ripensati alla radice, soprattutto dal momento che l’antico confine tra lavoro dipendente e autonomo è sempre più labile e la vita lavorativa, per molti, è un pendolo in continuo movimento tra queste due condizioni un tempo rigidamente separate. Anche la migrazione entra nel tema: più migranti regolari e inseriti nel sistema produttivo equivalgono a minor rischio di carenza di manodopera, com’è previsto per i prossimi anni e a più contributi versati per lo Stato sociale. I migranti non sono un pericolo, ma una opportunità se utilizziamo per loro una parte delle enormi risorse della formazione, anziché condannarli al lavoro nero dei caporali o alla manovalanza per la malavita. Infine sulla pace, avverto il pericolo di una mancanza di riflessione sulla nuova geopolitica globale. Quel che vedo è un eccessivo schiacciamento sulla NATO, che è una alleanza militare, una folle corsa al riarmo, una volontà di tornare alla riedizione della guerra fredda, e un oscuramento delle ragioni che dovrebbero consigliare la ricerca di una via diplomatica per la pace. Se si dicono queste cose si sta con Putin. Io non sto con l’aggressore russo, sto dalla parte degli aggrediti ma condivido le proposte del Papa. Temo il pensiero unico e ritengo fermamente, come Schlein, che le risorse del PNRR non debbano essere destinate all’industria delle armi. Al Parlamento europeo la maggioranza del PD ha votato a favore: non sono d’accordo.
La butto giù seccamente. Quanto c’è di “nuovo” nel Pd di Elly Schlein?
Si è parlato molto dell’”effetto Schlein”. Penso che enfatizzare questo concetto sia profondamente sbagliato. L’effetto non c’è stato nel voto degli iscritti, ma è stato vistoso alle primarie. Dopo, per qualche settimana, si è manifestato un vento positivo, mediatico-popolare, che si è tradotto in più di 10mila nuovi iscritti. Non potrà durare all’infinito in un tempo in cui le novità si consumano in una settimana. Faremmo del male alla segretaria se coltivassimo questa pericolosa illusione. Alle ultime amministrative chi, elettore del PD, ha scelto da un po’ di tempo l’astensione, se n’è rimasto sostanzialmente a casa. Il PD ha tenuto nelle percentuali, ma costruire coalizioni è altra cosa. Chi ha creduto possibile un miracolo si è sbagliato. La nuova segretaria ha acceso una speranza, ma il cammino è ancora lungo. Passiamo dalla fase dell’effetto al tempo del lavoro di squadra e delle proposte chiare e visibili. Se posso fornire un suggerimento eviterei di dare l’impressione di una gestione del Partito troppo solitaria o di rimandare o essere ambigui su alcune scelte (dal termovalorizzatore di Roma alla GPA: sul primo sono d’accordo, sulla seconda no): adesso dedicherei molto tempo alla elaborazione di contenuti politico-programmatici che consolidino l’identità del Partito.
Il prossimo anno, oltre che per il rinnovo del Parlamento europeo, si vota per le amministrative, in particolare in una delle regioni che contano e che Lei conosce molto bene: il Piemonte. Afferma il senatore Zanda: è sulle amministrative, e non sulle europee, che si verificherà l’incidenza della leadership di Elly Schlein. Che ne pensa?
Parlare solo delle europee non è giusto, anche perché le Regioni che vanno al voto sono importanti e numerose. Si tratta di due banchi di prova da superare, anche perché non saranno passati solo pochi mesi come per le amministrative. Per questo è importante lavorare sodo sui contenuti. Tornando al concetto di lavoro di squadra, preferirei parlare, per le prove elettorali del prossimo anno, di una valutazione che riguarderà l’efficacia e l’incidenza della nuova segreteria piuttosto che della sola segretaria.
Che destra è quella che sta governando l’Italia?
Più passa il tempo e più crescono le mie preoccupazioni. Mi pare una destra felpata, ma molto portata al comando. Si veda l’ampio uso dello spoil system. Giorgia Meloni, che non dispone di una squadra molto brillante, cerca di non far vedere il suo punto debole: molte promesse elettorali e poche risorse per poterle mantenere. Per questo ha bisogno di spostare l’attenzione attraverso un suo protagonismo in politica estera e, in particolare, in Europa e di solleticare l’immaginario della destra sull’emergenza migranti e sulla Costituzione presidenziale. Tutto questo è pericoloso, se non si pone un argine, anche perché è coerente con l’obiettivo di uno spostamento a destra dell’equilibrio europeo nel voto del prossimo anno. Non vorrei trovare un pezzo di Ungheria in casa nostra.