La vicepresidenza del gruppo
Elly Schlein silura Piero De Luca “È vendetta trasversale”
Per uscire dall’angolo dopo la débâcle del voto all’Europarlamento sulle armi, la segretaria interviene nel braccio di ferro sugli uff ci di presidenza. Bonafé al posto del figlio del governatore campano, declassato a segretario del gruppo
Politica - di David Romoli
Nel Pd le colpe dei padri ricadono sui figli. Perciò la scarsissima popolarità di cui gode nei nuovi vertici del Nazareno Vincenzo De Luca, governatore della Campania, costa il posto di vicesegretario vicario del gruppo del Pd alla Camera al figlio Piero. Questa, almeno, è l’accusa che lanciano apertamente sulla segretaria Elly Schlein i compagni di corrente di De Luca: Lorenzo Guerini, che parla di “processo al cognome”, e Marianna Madia, che prende di mira “un’operazione punitiva senza mordente contro una persona solo per il suo cognome”.
Il cognome in realtà un po’ c’entra davvero. Quando, subito dopo l’elezione a sorpresa, Elly prese di mira “i cacicchi” nessuno ebbe alcun dubbio su quale fosse il nome in testa alla lista nella sua mente: il pittoresco presidente della Campania, che ambisce a un terzo mandato che la segreteria considera tassativamente escluso. Vincenzo De Luca si era inoltre schierato con Bonaccini alle primarie e proprio questo, secondo il figlio retrocesso, è all’origine di quella che definisce “una sorta di vendetta trasversale che non fa onore”. Le logiche che hanno prevalso, prosegue De Luca, “non sono state fondate né su dinamiche politiche, né sulle competenze, né sul contributo al lavoro parlamentare ma risentono di scorie non smaltite delle primarie”.
Un po’, probabilmente c’entra anche l’intenzione di sferrare un colpo deciso contro Base Riformista, che si opponeva da un mese alla degradazione di De Luca. Ma nell’accelerazione che ha portato ieri al rinnovo degli uffici di presidenza Pd in entrambe le Camere, in sospeso sin dall’elezione decisa dalla segretaria di Chiara Braga come capo dei deputati e di Francesco Boccia alla presidenza dei senatori, ha inciso soprattutto la necessità di lanciare un segnale di forza dopo la débacle del voto su armi e Pnrr nel Parlamento europeo. Sino a 48 ore prima del voto, la decisione della segretaria era di astenersi sulla legge che consente agli Stati di attingere dal Pnrr per finanziare la produzione di armi per Kiev (e per i vari eserciti nazionali).
La maggioranza degli eurodeputati del Pd aveva puntato i piedi, indisponibile a votare diversamente dal resto del gruppo del Pse. È finita che la segretaria non ha dato indicazioni, 10 eurodeputati hanno votato a favore, 4 si sono astenuti, uno non ha partecipato al voto e un altro ha votato no. Un esito dal quale l’immagine di Elly Schlein, già ammaccata dalla mazzata alle amministrative era uscita malissimo, come una segretaria priva di vera leadership. Schlein ha deciso di intervenire d’autorità nel braccio di ferro sugli uffici di presidenza in corso da settimane proprio per dimostrare di non essere una segretaria di paglia, incapace di imporsi sui parlamentari ed europarlamentari. De Luca è stato declassato a segretario del gruppo, sia pure con delega al Pnrr, alle riforme e alla sicurezza. Scelta d’imperio che non è andata giù a Base riformista.
In parte la mossa della segretaria era effettivamente obbligata. Dopo la resa di Bruxelles tergiversare ancora sugli uffici di presidenza la avrebbe fatta apparire debolissima e in politica sembrare deboli ed esserlo effettivamente sono più o meno la stessa cosa. Inoltre, dopo la sconfitta alle amministrative le resistenze delle correnti erano destinate, se non stroncate subito, a rafforzarsi di molto. Resta però da chiarire quanto la vittoria della segretaria sia strategica e quanto invece apparente. Caso De Luca a parte, le nomine degli uffici di presidenza sono state fatte col vecchio manuale Cencelli spalancato. Alla Camera la vicepresidenza vicaria tocca sempre a Base Riformista, con Simona Bonafè, con lei ci sono Valentina Ghio, sinistra Pd area Orlando, Toni Ricciardi, neoulivista lettiano, Paolo Ciani, vicino a Zingaretti ma anche a Sant’Egidio, Demos.
I bonacciniani si sono ritrovati tagliati fuori dalle vicepresidenze. In compenso incassano con Andrea De Maria la postazione del tesoriere, che è in realtà di grande potere e che era stata per un po’ destinata come “consolazione” a Piero De Luca. L’obiettivo della segretaria era dimostrare di non essere ostaggio delle correnti. Ma il Cencelli e la minuziosa ricerca di equilibri tra le correnti stesse non sono la via migliore per riuscirci.