X

Meloni a Tunisi dispensa consigli a Saied per convincere Fmi e Ue a sganciare 2,5 mld di aiuti

Meloni a Tunisi dispensa consigli a Saied per convincere Fmi e Ue a sganciare 2,5 mld di aiuti

Sull’altra sponda del Mediterraneo la destra sovranista italiana cambia faccia e diventa “pragmatica”, europeista e favorevole ai grandi prestiti da parte delle istituzioni internazionali. Ieri mattina la premier Giorgia Meloni ha incontrato a Tunisi il capo dello Stato tunisino Kais Saied, sul tavolo c’erano i quasi 2 miliardi di dollari già disposti dal Fondo monetario internazionale e i 500 milioni di euro ventilati dall’Unione Europea.

Fuori dal palazzo presidenziale un paese in profonda crisi economica e sottoposto a una svolta autoritaria dopo che Saied ha accentrato su di sé diversi poteri. Sullo sfondo un boom migratorio che nei prossimi mesi estivi potrebbe portare, secondo stime del governo, centinaia di migliaia di tunisini mediamente disperati a imbarcarsi alla volta delle coste italiane. È principalmente quest’ultima immagine a spingere Giorgia Meloni a indossare gli insoliti panni della mediatrice internazionale per consigliare a Saied di dismettere l’abito da sovranista autoritario e permettere al Fmi e all’Unione di aiutare il suo governo e soprattutto la Tunisia.

Al termine del vertice, durato poco meno di due ore, la presidente del Consiglio, in una pseudo conferenza stampa (annunciata e poi sostituita da un monologo di 9 minuti, ufficialmente per ragioni di tempo) senza domande e senza giornalisti, ha rilanciato il ruolo dell’Italia come paese ponte tra Tunisi e Washington e Bruxelles: “Nel pieno rispetto della sovranità tunisina, ho raccontato al presidente Saied degli sforzi che un Paese amico come l’Italia sta facendo per cercare di arrivare a una positiva conclusione dell’accordo tra Tunisia e Fmi, che resta fondamentale per un rafforzamento e una piena ripresa del Paese”.

Il noto retroscena è la ritrosia del Fondo monetario internazionale, con Joe Biden in testa, a concedere 1,9 miliardi di dollari in prestiti agevolati a un paese sì in grande crisi economica e sociale, con inflazione e disoccupazione alle stelle, ma governato da quel Kais Saied che col tempo ha impresso una svolta sempre più autoritaria e ostile all’Occidente. In particolare hanno lasciato il segno le persecuzioni e gli arresti ai danni degli oppositori politici. Da qui la richiesta del Fmi al capo di Stato tunisino, posta come condizione necessaria al prestito, di attuare alcune riforme istituzionali in senso democratico. Ma le divergenze sono anche in ambito economico: il fondo vorrebbe dalla Tunisia un piano di rientro strutturale con la fine di alcuni sussidi e il taglio della spesa pubblica, tutte richieste finora ritenute inaccettabili, alla stregua di pericolose ingerenze estere, dal sovranista Saied.

Giorgia Meloni ha sempre guardato con preoccupazione al braccio di ferro tra Tunisi e il Fmi, sapendo che una escalation della crisi tunisina può provocare un boom di sbarchi nel nostro paese, nella consapevolezza che finora nel 2023 in Italia ci sono state circa 50000 persone sbarcate, di cui la metà proveniente proprio da quel paese, con buona pace di una lunga campagna elettorale basata sul blocco navale, i porti chiusi e “basta sbarchi”. Meloni teme questo scenario e ieri l’ha ammesso: “Chiaramente siamo di fronte alla stagione più difficile da questo punto di vista, non possiamo che essere preoccupati per i prossimi mesi e riteniamo che si debba intensificare il nostro lavoro comune rafforzando la collaborazione con le autorità tunisine”.

Quindi il lavoro del governo italiano per l’accordo tra Saied e il Fmi, in coerenza con il “pragmatismo” con cui allo scorso G7 la premier italiana ha fatto sostanzialmente da mediatrice tra il capo di Stato tunisino e Kristalina Georgieva, direttrice generale del Fmi, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.Ma siamo sicuri che questa rigidità sia la strada migliore? Se questo governo va a casa noi abbiamo presente quali possano essere le alternative? Credo che l’approccio debba essere pragmatico, perché altrimenti noi rischiamo di peggiorare situazioni che sono già compromesse”, così diceva Meloni tra i Grandi del mondo.

Ieri è andato in scena un forte momento di realpolitik: la rappresentante della destra sovranista italiana ha chiesto sostanzialmente a Saied di essere meno sovranista in cambio dei fondi necessari, di aprire alle riforme istituzionali e al controllo delle migrazioni. Proprio sui migranti Meloni ha poi rilanciato: “Con il presidente Saied abbiamo discusso di una conferenza internazionale a Roma sul tema della migrazione e dello sviluppo, per cercare di mettere assieme tutte le necessità legate a un fenomeno che è sicuramente molto imponente e va affrontato a 360 gradi”.

Ma la premier ieri si è posta pure da player europeo e ha paventato un asse con la presidente della Commissione Ursula von Der Leyen: “Anche a livello di Ue l’Italia si è fatta portavoce di un approccio concreto per aumentare il sostegno alla Tunisia sia nel contrasto alla tratta di esseri umani e all’immigrazione illegale, ma anche per un pacchetto di sostegno integrato, di finanziamenti e di opportunità importanti a cui sta lavorando Bruxelles”. Il prosieguo del discorso è molto politico, anche in vista della possibile alleanza tra conservatori e popolari: “Sono molto grata alla Commissione europea. Per accelerare l’attuazione di questo pacchetto dell’Ue ho dato al presidente Saied la mia disponibilità a tornare presto qui in Tunisia anche insieme alla presidente Ursula von der Leyen”.

Un asse al femminile capace anche di sbloccare i 500 milioni di euro pensati dall’Unione come aiuti per il paese nordafricano. Ne va appunto dell’interesse italiano, come ha espressamente detto ieri la premier: “La stabilizzazione del quadro politico e di sicurezza, la crescita della democrazia in Tunisia è ovviamente indispensabile, per la Tunisia ma anche per l’Italia”. E sull’asse Roma-Tunisi ballano anche altri interessi, di tipo prevalentemente energetico. Come la costruzione di Elmed, cavo sottomarino di collegamento elettrico Elmed, che consentirebbe alle “ due nazioni” «di diventare degli hub di approvigionamento energetico per l’Europa e per i paesi africani».

E la difesa del collegamento con il gas proveniente dall’Algeria, diventato primo paese fornitore dell’Italia, e che passa per quasi 400 chilometri attraverso la Tunisia prima di attraversare il Mediterraneo e raggiungere l’Italia. Altri buoni motivi, insieme ai “7 miliardi di interscambio commerciale prodotti nel 2022 con l’Italia primo partner del paese”, per diventare “pragmatici” e dire ai sovranisti stranieri, a pochi chilometri dalla Sicilia, di rinnegare il sovranismo.

In seguito il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani ha rilanciato la linea di Meloni proponendosi mediatore tra Tunisi e il Fmi, mentre il leader di Sinistra Nicola Fratoianni ha accusato il governo di “di sostenere quei regimi nordafricani sempre più autoritari e che non sono democratici, violano sistematicamente i diritti umani, reprimono il dissenso sociale e politico” e di rendere l’Italia sempre più isolata”. Sulla stessa linea il Pd, il cui responsabile esteri Giuseppe Provenzano ha così commentato: “Il feeling con un autocrate non aiuta la Tunisia”.