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La lezione di Enrico Berlinguer: prima di essere un politico era un uomo leale con il popolo

La lezione di Enrico Berlinguer: prima di essere un politico era un uomo leale con il popolo

In un libro-intervista del 1999 di Nicola Guiso a Sandro Fontana si può leggere, tra l’altro: “Donat-Cattin fu però quasi solo a non credere all’eccezionale statura politica di Berlinguer…”. “È vero. A tanti, forse affascinati dalla figura ieratica, dallo stile sobrio e dalla severità dei costumi del segretario comunista sfuggiva che le sue proposte politiche spesso erano viziate da moralismo, oppure da tatticismo derivato in maniera acritica dalla tradizione togliattiana e gramsciana del Pci; e che non potevano non risultare inadeguate rispetto ai problemi vitali e complessi della società italiana”. Tanto che il leader di “Forze nuove” giunse a definire il leader comunista “un commesso di Togliatti”.

Ipotizziamo per un istante che ciò corrisponda al vero. Come mai Berlinguer è stato, come direbbe Emanuele Macaluso, “il segretario più amato”? Perché in tanti, con la testa, con il cuore o con la pancia poco importa, continuano a dire “Se ci fosse Berlinguer!” oppure, semplicemente, “Quando c’era Berlinguer…”, dove i puntini di sospensione paiono più espressivi di mille discorsi? Qualcuno evoca come spiegazione addirittura il suo volto scarno o il suo aspetto gracile e indifeso, tali da suscitare tenerezza.

Discorsi come quello di Fontana, in realtà, presuppongono una divisione netta e un abisso tra la dimensione propriamente politica (il politico, direbbe Carl Schmitt) e “il resto”. Così non è, non può essere. Accanto alla politica, alla sfera del “politico”, non vi è (solo) l’apolitico, o l’impolitico. Vi è piuttosto anche uno spazio (soprattutto pubblico) prepolitico e, magari, post-politico. Uno spazio tale da preparare o da anticipare la gestazione di proposte politiche e da dare loro un senso, una direzione. Uno spazio, poi, in grado di suscitare stati d’animo squisitamente politici, più che mai politici: la fiducia e la credibilità prima di tutto. Proprio gli ingredienti che oggi sembrano quasi introvabili, in politica e non solo.

Inoltre, a proposito del “post-politico”, vi è la capacità di guardare oltre le strettoie della cronaca, oltre i limiti angusti di un presente scialbo: si guardi all’intervista rilasciata dal leader comunista nel dicembre 1983 per l’inserto de l’Unità dedicato all’utopia negativa di George Orwell oppure alla considerazione senza pari che egli nutriva per la “questione femminile”, cogliendo mirabilmente, ad esempio, il nesso tra emancipazione e liberazione della donna, delle donne. Uno dei pochi grandi temi, forse l’unico, che dagli anni Sessanta giunge sino a noi, attuale e delicato più che mai. (Anche) questo è stato il “dolce Enrico”.