Le richieste dei pm
Rinascita Scott, il delirio di Gratteri: il pm chiede pena da killer per Giancarlo Pittelli
Il procuratore di Catanzaro è baldanzoso come se avesse già vinto, si accanisce sull’avvocato calabrese perché gli serve a tenere in piedi il castello di carta della sua maxinchiesta
Giustizia - di Tiziana Maiolo
Si comporta come se avesse vinto la causa, il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri. “In pochi avevano creduto in questo processo”, dice con soddisfazione. Ma siamo solo alle sue richieste , che evidentemente lui confonde con sentenze di condanna. Tre settimane hanno impiegato i suoi sostituti della Dda, Anna Frustaci, Antonio De Bernardo e Andrea Mancuso, per cuocere a fuoco lento la posizione di ogni imputato.
Ma i numeri degli anni di carcere ha voluto spararli lui personalmente. E sono vere pallottole, se si pensa che questo processo, che infatti si svolge in tribunale e non in corte d’assise, non è chiamato a giudicare omicidi né stragi. Ma, se misurassimo i 17 anni chiesti per l’avvocato Pittelli, i 15 per il suo collega Francesco Stilo, gli 8 per l’ex capitano dei carabinieri Giorgio Naselli, e li paragonassimo alle richieste di un qualunque pm, magari lo stesso Gratteri, in un qualunque processo per omicidio, scopriremmo che viene considerato meno grave l’assassinio rispetto al concorso esterno. Spetterà alla Presidente Brigida Cavasino e alle giudici Claudia Caputo e Germana Radice dimostrare il contrario. E avere il coraggio di assolvere quando manchi il nesso di causalità tra un comportamento e il risultato compiacente nei confronti della mafia.
- Gratteri “scippa” le celebrazioni a Falcone: gli studenti calabresi invitati a sostenere le inchieste del procuratore
- Il dramma di Nicola Comerci: per Cafiero de Raho “contiguo alle cosche”, oggi assolto nel silenzio
- Gratteri sbugiardato dal giudice Sabella: per il procuratore il 41 bis non sarebbe una Guantanamo ma “un pentitificio”
Gli imputati sono 343, ma il “Rinascita Scott” pare diventato il processo a Giancarlo Pittelli. E’ la sua figura quella che sostanzialmente consente al procuratore Gratteri di mantenere in piedi il teorema sulla base del quale questo processo è nato, fin dal blitz del 19 dicembre 2019. Per questo l’avvocato Pittelli non può uscire da quest’aula. Eppure il punto centrale, quello che dovrebbe dare sostanza all’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, è crollato da tempo.
Ci sono due provvedimenti della corte di cassazione e uno del tribunale del riesame di Catanzaro ad attestarlo. Infatti nel corso di questi due anni e mezzo i rappresentanti dell’accusa si sono affannati a introdurre fatti nuovi, che poi nuovi non erano perché giravano sempre intorno allo stesso quesito (che nella mente del procuratore Gratteri sarebbe invece prova incrollabile): l’avvocato Pittelli, attraverso la diffusione ai propri assistiti di notizie riservate, ha agevolato la cosca? Tutti i provvedimenti attraverso i quali il legale, dopo oltre due anni di custodia cautelare, prima in carcere e poi al domicilio, ha riguadagnato la libertà. lo hanno escluso.
Non solo, ma anche le risposte di diversi giudici ai quesiti degli avvocati Caiazza, Contestabile e Stajano sulle sussistenza di indizi di colpevolezza, sono state univoche. Questi indizi non esistono. Perché occorre dimostrare, e ovviamente questo è compito dell’accusa, che l’avvocato con il suo comportamento abbia rafforzato in modo significativo l’attività e anche i bilanci della cosca mafiosa. Giancarlo Pittelli era stato intercettato mentre parlava con un suo assistito. Insieme commentavano il “pentimento” di un altro imputato, fatto di cui già avevano parlato un giornale locale e anche un sito. Pure c’è voluta la ricerca certosina dei legali perché si potesse arrivare alla conclusione che l’ex senatore non stava violando un segreto investigativo e men che meno che fosse in possesso dei verbali di interrogatorio del collaboratore.
Anzi, nella conversazione diceva esplicitamente di non aver visto nessun verbale. Pure per mesi quell’intercettazione e la deduzione di quale fosse stato il ruolo di Giancarlo Pittelli parevano fondamentali per attribuire all’avvocato addirittura un ruolo non solo di difensore ma di ”consigliori” di un’intera cosca mafiosa. Poi si aggiungeva evanescenza a evanescenza, perché, sempre lui, aveva detto del solito “pentito”, “pare che accuserà il fratello”. Una previsione? Uno svarione? Certamente una stranezza perché proprio negli stessi giorni in cui la Dda continuava a intercettare il legale e i suoi assistiti, quel collaboratore di giustizia stava scagionando il proprio fratello dalla responsabilità di un certo delitto. Capiterà però che alcuni mesi dopo, messo alle strette, chiamerà in correità proprio il congiunto.
Ma sono sufficienti questi “indizi”, per definire “consigliori” di mafia uno degli avvocati più famosi della Calabria ex senatore della repubblica? Esaminiamo dunque gli argomenti tecnico-giuridici con cui prima la cassazione (e persino il procuratore generale) e poi il tribunale di Catanzaro hanno demolito l’imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa. “La Suprema Corte -scrive per esempio il tribunale di Catanzaro- richiamando i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, che ha disegnato il concorrente esterno come il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell’affectio societatis, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione e il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima”.
In che modo “concreto, specifico, consapevole e volontario” il contributo dell’avvocato Pittelli sarebbe stato determinante per rafforzare una cosca mafiosa? Parlando di verbali mai visti o riferendo notizie lette sui giornali? Saranno “giovani”, come ha detto il procuratore Gratteri, le tre giudici che dovranno decidere questo processo, ma la scommessa è se avranno la stessa autonomia che avrebbe avuto la loro collega più esperta Tiziana Macrì che oggi sarebbe la Presidente di quel tribunale se il procuratore Gratteri non l’avesse subito ricusata.