La domanda che l’ebreo rivolge più spesso a Dio è: “dove sei?”. E tale, più in generale, è la domanda del credente (e non solo). Nella Bibbia, certo, è spesso Dio a interrogare l’essere umano: celeberrimo è il “dov’è tuo fratello?”, rivolto a Caino. Né mancano, da parte di Dio, le “domande di rimando”, analoghe a quelle a cui è avvezzo chi ha esperienza di sedute psicoanalitiche: “dottore, perché sogno tutte le notti un albero dalle foglie nere?”. E l’analista, di rimando: “vediamo un po’, perché secondo lei?”.
È (anche) così che si tesse la trama del silenzio e del dialogo, tra paziente e terapeuta come fra Dio e gli umani. Sulla trama del silenzio, quasi fosse il volto ombroso della parola, si è soffermato, alla fine degli anni Sessanta e agli inizi dei Settanta, un autore ebreo alsaziano come André Neher, muovendo dalla tragedia dei campi di sterminio. Sul suo pensiero e su tanto altro si soffermano Francesco Giosuè Voltaggio, presbitero della Diocesi di Roma, biblista e profondo conoscitore della letteratura ebraica antica, e Francesco Paolo Ciglia, filosofo, specialista, tra l’altro, del pensiero ebraico del Novecento, con il volume Nella tempesta Dio. Sul dolore, tra Bibbia e Filosofia, con la Prefazione di Fabrice Hadjadj (Edizioni San Paolo, pp. 270, euro 22).
Eloquente, e drammatico più che mai, è il silenzio (e, dunque, l’assenza, almeno apparente) di Dio nel libro biblico di Giobbe (e che dire del silenzio di Auschwitz?). “Perché egli rimane muto spettatore delle tragedie? È la domanda rivolta spesso a Dio da Israele e perfino dai suoi profeti più pii come, per esempio, Abacuc: ‘Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese […]. Tu dagli occhi così puri che non puoi vedere il male e non puoi guardare l’oppressione, perché, vedendo i perfidi, taci, mentre il malvagio ingoia chi è più giusto di lui?’”.
Vi sono, dunque, la questione del male, quella del dolore e della sofferenza e, accanto a esse, quella della giustizia. E Dio può divenire persino l’imputato. “Dove sei?”. Oppure: “dov’eri?”. Se l’intera Bibbia “non è altro che un corpo a corpo con Dio”, fatto di parole e di silenzi, in talune situazioni la parola sembra perdersi e, in apparenza almeno, resta solo un abissale, vertiginoso, spaventoso silenzio. Un urlo inquietante e quasi senza fine fatto di silenzio. Un urlo, talora, ma, forse più spesso, una voce silenziosa. Nel primo libro biblico dei Re, infatti, “il narratore nota che ‘il Signore passò. Si verificano vari possenti fenomeni della natura”.
Il primo di essi “è il fuoco: ciò richiama la scena del capitolo precedente, in cui il Signore, grazie all’invocazione di Elia, si era manifestato nel fuoco. Eppure, il Signore non è nel fuoco. In seguito vi è un terremoto, ma Dio non è presente neanche in esso. Dopo ancora viene un vento impetuoso; Dio non è nemmeno lì. Infine, sopraggiunge” una “voce di silenzio sottile”. “Quando Elia sente questa voce o, meglio, questo silenzio – si tratta, infatti, di un ossimoro: ‘la voce del silenzio’, cioè il silenzio della voce di Dio –, si copre il volto con il mantello, e non vuole vedere, perché capisce che lì è presente Dio”. Un volume, insomma, che, in maniera circolare, raccoglie dubbi e domande e ne pone. Un volume, lo dico non senza un pizzico d’orgoglio, che vede in bibliografia anche un mio libretto, frutto di una rapida incursione nell’argomento.