Il nuovo saggio
Senatori a vita, il lato oscuro della Costituzione
Giusto far dipendere i destini dei governi (vedi il Prodi 2) da figure non elette?
Cultura - di Stefano Ceccanti
Il volume di Paolo Armaroli I senatori a vita visti da vicino (La Vela, Fano 2023), che sarà presentato il giorno 21 a Roma nella Sala lauree di Scienze Politiche della Sapienza, illumina bene una materia fin qui non studiata in modo così puntuale e al tempo stesso organico. Esso è ricco di vari insegnamenti, direi fondamentalmente due, che trascendono anche lo stesso oggetto di studio e che assumono un valore ben più ampio, e ci lascia infine un interrogativo aperto.
Il primo insegnamento, attraverso lo studio delle nomine del periodo statutario, ci rivela che pur dentro una forma di governo in cui la frammentazione parlamentare lasciava al Re vari margini di intervento, quindi mai integralmente parlamentare, almeno per la nomina dei senatori, attraverso l’istituto della controfirma ministeriale, il potere effettivo si era spostato sul Governo (p. 33). Le forme parlamentari monarchiche prima o poi evolvono tutte verso le cosiddette “democrazie coronate” (Philippe Lauvaux), in cui tutto si gioca sul continuum Parlamento-Governo.
Viceversa nelle forme repubblicane, specie nella nostra dove non vi sono atti presidenziali esenti da controfirma, non è mai agevole capire a chi spetti effettivamente quello specifico potere, quali atti siano sostanzialmente governativi, quali governativi e quali duumvirali, ossia con uguale peso di entrambi (p. 25). Nel caso dei senatori a vita il sistema, sin dai lavori preparatori della Costituzione (p. 93), e poi, ancor più, con l’imprinting delle prime nomine einaudiane (p. 128), accettate da de Gasperi (p. 134) è andato verso la nomina sostanzialmente presidenziale, persino estesa dai precedenti Pertini e Cossiga ad un’interpretazione alquanto dubbia, ma difficilmente resistibile, di una spettanza a ciascun capo dello Stato di cinque scelte (pp. 172-177).
Al di là questa momentanea deviazione, poi rientrata, il precedente Einaudi- de Gasperi sulla scelta presidenziale ci fornisce il secondo insegnamento rilevante di Armaroli, ossia l’importanza dell’imprinting, delle prime applicazioni di un testo costituzionale: norme spesso generiche vedono solo allora il loro significato ben chiarito, utilizzando un’interpretazione ed escludendone altre. Diventa poi difficile discostarsi da quella che nasce come prassi, se ripetuta diventa almeno una convenzione se non anche una vera e propria consuetudine.
Al di là dei due insegnamenti Armaroli ci lascia però un interrogativo aperto: non ci dà, mi pare, una risposta univoca sulla positività o meno di questa modalità di integrazione della rappresentanza. Per un verso da alcune ricostruzioni valorizza il contributo di alcune personalità, ma rimane qua e là un certo scetticismo sul rischio che in alcune situazioni limite ciò possa costituire una contraddizione di sistema, facendo dipendere il Governo da persone non elette, come in parte accaduto col Governo Prodi 2 tra 2006 e 2008 e come potrebbe capitare ancor più ora con un Senato di 200 componenti.
Mi pare però che possa esistere una quadratura del cerchio: se il Senato non dovesse dare la fiducia al Governo, l’integrazione avrebbe solo aspetti positivi, senza questa anomalia. Una riduzione del danno si potrebbe comunque ottenere con la soluzione meno drastica di spostare il rapporto fiduciario nel Parlamento in seduta comune a 600 membri.