Il diritto per un’equa riparazione per la custodia cautelare subita ingiustamente è stato introdotto con il codice di procedura penale del 1988 ed è in adempimento di un preciso obbligo posto dalla Convenzione dei diritti dell’uomo (cfr. art 5, comma 5, C.E.D.U.). La materia è regolata dagli articoli 314 e 315 del cpp, modificati nel tempo da quattro sentenze della Corte Costituzionale. Ma come si calcola effettivamente il risarcimento per ingiusta detenzione? Ce lo spiega senza l’associazione di Maimone e Lattanzi, Errorigiudiziari.com.
In realtà, domandarsi come si calcola il risarcimento, nel caso dell’ingiusta detenzione, non è di per sé corretto. “In caso di ingiusta detenzione, infatti, lo Stato stabilisce che nei confronti di chi l’ha subita debba essere versato un indennizzo – che tecnicamente è cosa diversa dal risarcimento – perché il danno è stato frutto di una legittima attività dell’autorità giudiziaria. Ecco perché, a differenza del risarcimento, viene determinato in base a calcoli precisi, sulla base di parametri di riferimento e con un tetto massimo”.
Anzitutto, per quantificare l’importo da corrispondere in caso di ingiusta detenzione, la Corte d’Appello nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza o il decreto di archiviazione tiene conto di due criteri fondamentali: quantitativo, che si basa cioè sulla durata della custodia cautelare ingiustamente sofferta; qualitativo, che si fonda sulla valutazione caso per caso delle conseguenze negative derivate dalla privazione della libertà personale (per esempio i danni per la reputazione causati dalla pubblicazione sui media della notizia dell’arresto). “Il limite massimo di un indennizzo per ingiusta detenzione è fissato in 516.450,90 euro (tutti i tentativi di alzare questo tetto finora sono falliti)”. In pratica ogni giorno di ingiusta detenzione vale 235,82 euro. L’ammontare di un singolo giorno trascorso agli arresti domiciliari viene invece fissato di solito nella metà: 117,91 euro.
Rimanendo nell’ambito degli assolti, ricordiamo che a gennaio dello scorso anno l’ex Ministro della Giustizia Marta Cartabia di concerto con l’ex Ministro dell’economia e delle finanze Daniele Franco emanarono un decreto che definisce finalmente i criteri e le modalità di erogazione del Fondo per il rimborso delle spese legali agli imputati assolti. L’iniziativa è nata su impulso dell’onorevole di Azione Enrico Costa.
Si legge nel decreto che i soggetti che vi possono accedere sono quelli destinatari di una sentenza di assoluzione definitiva pronunciata perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, escluso il caso in cui quest’ultima pronuncia sia intervenuta a seguito della depenalizzazione dei fatti oggetto dell’imputazione.
Il rimborso è riconosciuto nel limite massimo di 10.500 euro, ripartito in tre quote annuali, a partire dall’anno successivo a quello in cui la sentenza è divenuta irrevocabile. Il richiedente può presentare istanza di accesso al fondo esclusivamente tramite apposita piattaforma telematica accessibile dal sito giustizia.it.