Il crac della giustizia
Innocenti in carcere, ogni anno mille detenuti vittime di malagiustizia
Quarant’anni fa l’arresto del celebre giornalista e presentatore. Un caso di “macelleria giudiziaria” che però ha insegnato ben poco se ogni anno, negli ultimi trenta, circa mille cittadini in Italia sono stati riconosciuti come vittime di malagiustizia
Editoriali - di Angela Stella
Quando si parla di Enzo Tortora si è soliti ricordare la sua vicenda processuale come un errore giudiziario. In realtà, tecnicamente, il noto presentatore ha subìto una ingiusta detenzione (è il caso di una persona privata della libertà personale salvo poi essere assolta con sentenza definitiva) ma non è stato vittima di un errore giudiziario (persona condannata con sentenza passata in giudicato e in seguito riconosciuta innocente dopo la revisione del processo).
Fatta questa premessa di ordine tecnico è chiaro che quella vicenda, che Giorgio Bocca definì “il più grande esempio di macelleria giudiziaria del nostro Paese”, possa naturalmente appellarsi con errore/orrore giudiziario perché si trattò di un processo che non sarebbe mai dovuto iniziare. Né Tortora né i suoi eredi ottennero mai un indennizzo per i giorni trascorsi tra carcere (210) e arresti domiciliari (61).
I NUMERI
Purtroppo Tortora è uno dei tanti finiti in carcere ingiustamente. Come evidenzia il sito dell’associazione Errorigiudiziari.com, fondata dai giornalisti Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, tra ingiuste detenzioni e errori giudiziari in senso stretto “dal 1991 al 31 dicembre 2022 i casi sono stati 30.778: in media, poco più di 961 l’anno. Il tutto per una spesa complessiva dello Stato gigantesca, tra indennizzi e risarcimenti veri e propri: 932 milioni 937 mila euro e spiccioli, per una media di poco inferiore ai 29 milioni e 200 mila euro l’anno”. L’associazione mette in evidenza che nel 2022 i casi di ingiusta detenzione sono stati 539, per una spesa complessiva in indennizzi di cui è stata disposta la liquidazione pari a 27 milioni 378 mila euro.
Rispetto all’anno precedente, si assiste a un leggero calo dei casi di innocenti finiti in manette (-26), a fronte di una spesa che è aumentata invece di quasi 3 milioni di euro. Continua dunque la flessione già notata negli ultimi due anni. Ma, si sostiene, “è obiettivamente difficile immaginare che si tratti esclusivamente di un processo virtuoso del sistema”. Assai più probabile per Lattanzi e Maimone, anzitutto, è “che la pandemia continui a far sentire i suoi effetti sull’attività giudiziaria a tutti i livelli, dunque anche sul lavoro delle Corti d’appello incaricate di smaltire le istanze di riparazione per ingiusta detenzione”.
Tuttavia “un discreto peso su questa tendenza al calo dei casi lo ha soprattutto quella tendenza restrittiva secondo cui lo Stato respinge la stragrande maggioranza delle domande presentate o tende comunque a liquidare importi sempre molto vicini ai minimi di legge”. Nel 2022 per quanto concerne gli errori giudiziari da gennaio a dicembre sono stati in tutto 8: uno in più rispetto all’anno precedente.
LE STORIE
Ricordiamo alcune delle vicende più emblematiche, alcune tratte proprio dall’archivio di Errorigiudiziari.com. Giuseppe Gulotta ha trascorso 22 anni, ossia 8030 giorni, in carcere da innocente. Il suo è forse il più grande errore giudiziario della storia italiana. Tutto ha inizio il 27 gennaio 1976 quando due carabinieri – Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta – vengono trucidati mentre dormono nella caserma di Alcamo Marina, in provincia di Trapani. Giuseppe aveva poco più di diciotto anni, lavorava come muratore e non immaginava la tragedia che di lì a poco lo avrebbe travolto.
Uno dei principali indiziati per l’omicidio fa il suo nome. L’uomo fu posto in stato di fermo e, in assenza di un avvocato, venne sottoposto a torture e sevizie al punto da confessare un reato che non aveva commesso. Quando giunse finalmente davanti al magistrato, ritrattò la confessione ma ormai era troppo tardi. Nessuno gli credette. Dopo ben 8 processi, che ora lo assolsero ora lo condannarono, gli fu comminato l’ergastolo nel 1990. Ventidue anni dopo, il 13 febbraio 2012, Giuseppe, assistito dai legali Pardo Cellini e Baldassare Lauria, è stato assolto con formula piena, dopo la revisione del processo. I giudici hanno stabilito che la confessione venne estorta e gli venne riconosciuto un risarcimento di sei milioni e mezzo di euro.
Fu possibile riaprire caso grazie ad un ex brigadiere che raccontò come effettivamente erano andati i fatti: l’uomo che aveva accusato ingiustamente Gulotta subito dopo l’arresto venne portato presso una casermetta di campagna e sottoposto a torture terribili. Bendato, fu costretto a ingerire enormi quantitativi di acqua e sale, con l’ausilio di un imbuto mentre lo stesso veniva schiacciato fra due piani di legno. Subì anche scariche elettriche. Dopo arrivò la chiamata in correità per Gulotta.
Poi c’è Angelo Massaro, arrestato il 15 maggio del 1996 e accusato ingiustamente dell’omicidio del suo miglior amico, ha passato 21 anni in carcere. L’uomo finisce nel drammatico buio delle carceri a causa di una intercettazione telefonica trascritta male e interpretata peggio (una “t” al posto di una “s”): parlando con sua moglie, diceva che sarebbe rientrato tardi perché doveva trasportare “umuors”, che in dialetto tarantino fa riferimento ad un oggetto ingombrante, un “peso morto”, nel caso specifico un attrezzo per lavorare la terra.
Nella trascrizione diventerà “umuort”, il morto. E da quel momento resterà schiacciato da una mala giustizia. Quando è entrato in carcere aveva 29 anni, si era sposato da poco e aveva un bambino appena nato. Solo grazie alla revisione del processo è tornato un uomo libero. Ha fatto richiesta di risarcimento. Oggi la sua storia si può vedere raccontata nel documentario Peso morto (regia di Francesco Del Grosso, produzione esecutiva di Black Rock Film).
E che dire dell’incredibile storia di Giovanni De Luise, incensurato, condannato per uno scambio di persona? Nel 2004, il giovane napoletano, 22 anni, viene condannato in via definitiva a 22 anni di prigione come killer di Massimo Marino, mentre si stava svolgendo una faida a Scampia tra vari gruppi camorristici. Nonostante diversi pentiti abbiano detto che non era stato lui, non gli fu concessa la revisione in quanto le dichiarazioni dei pentiti erano “de relato”: i due cioè non avevano partecipato in prima persona all’omicidio. La svolta avvenne nel 2013 quando il vero assassino confessò il delitto. Ha fatto richiesta di risarcimento.
Luigi Vittorio Colitti non era neanche maggiorenne quando fu accusato di aver aiutato il nonno a uccidere il vicino di casa. Ha passato in carcere 14 mesi e sostenuto due processi, prima di essere prosciolto definitivamente. Per i mesi trascorsi ingiustamente carcere ha sviluppato, come ha accertato una perizia medica, “un disturbo post traumatico da stress di grado severo, attualmente in fase cronica”. Nonostante questo si è visto negare un risarcimento di 500 mila euro per l’ingiusta detenzione subita.
Raffaele Sollecito aveva 23 anni quando per lui si sono aperte le porte del carcere: era il 6 novembre 2007 e vi è rimasto fino al 3 ottobre 2011. Mancava una settimana alla laurea e invece la sua vita fu stravolta in un attimo: sbattuto in prima pagina insieme alla sua fidanzatina dell’epoca, Amanda Knox, venne dipinto come il mostro che aveva sgozzato la studentessa inglese Meredith Kercher per un gioco erotico finito male. Sei mesi di isolamento, quattro anni di carcere, cinque gradi di giudizio per determinare la sua completa estraneità ai fatti. Il 27 marzo 2015 la Corte di Cassazione lo assolve definitivamente “per non aver commesso il fatto”. Anche a Sollecito è stato negato il risarcimento perché secondo i giudici sarebbe stato lui ad indurre in errore gli investigatori.
Diego Olivieri, imprenditore di pellami, finisce in carcere incastrato dalle dichiarazioni di un pentito che lo accusa di narcotraffico in collaborazione con la mafia. Passa 12 mesi in cella al regime del 41 bis in attesa di giudizio, nella sezione di massima sicurezza con gli ergastolani. Dopo 5 anni, assolto con formula piena in tre diversi processi “perché il fatto non sussiste”. La Corte d’Appello di Roma ha respinto la richiesta di indennizzo, non ravvisando alcuna colpa grave nell’emissione del provvedimento cautelare. L’uomo si è rivolto alla Cedu.
Non possiamo dimenticare la storia di Daniele Barillà, condannato ingiustamente a 15 anni di carcere. Ha trascorso 7 anni e mezzo dietro le sbarre da innocente. La sua unica colpa è stata di avere una macchina identica a quella di un trafficante di cocaina che i carabinieri stavano pedinando. Barillà era finito in prigione nell’ambito dell’operazione “Pantera”, avvenuta nel febbraio del ‘92, in cui erano stati sequestrati 288 chili di cocaina, condotta dai carabinieri del Ros di Genova. Barillà fu arrestato mentre, alla guida di una Fiat Tipo rossa, viaggiava dietro una Fiat Uno di un boss milanese, sulla quale si trovavano 50 chili di cocaina che doveva essere trasportata a Nova Milanese. Ha ottenuto un risarcimento di circa 3 milioni di euro.
Più recente la storia di Marco Sorbara, Consigliere regionale della Valle d’Aosta, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa solo perché conosceva un presunto ndranghetista che è calabrese come lui. Quattro anni di processi, con oltre due anni e mezzo di custodia cautelare (214 giorni in carcere, di cui 45 in isolamento, e 695 ai domiciliari), prima di vedere acclarata la sua innocenza. Ha fatto richiesta di risarcimento. All’ultimo Salone internazionale del Libro di Torino ha riprodotto la cella dove ha trascorso l’isolamento, facendo trascorrere, a chi era interessato alla sua storia, 5 minuti all’interno senza telefonino per immaginare lontanamente cosa avesse passato.
Anthony Fusi Mantegazza, 23 anni, è stato assolto a marzo di quest’anno dall’accusa di aver stuprato, insieme ad un amico, una giovane sul treno della linea ferroviaria Milano-Varese la sera del 3 dicembre 2021. Ha trascorso in carcere 457 giorni da innocente.
Il tunisino Mohammed Nasreddine finisce in carcere con l’accusa di aver aggredito un connazionale in un centro d’accoglienza per impossessarsi di un telefonino. Ma il vero responsabile non era lui. 330 giorni in carcere risarciti con 75 mila euro.
Soprattutto i tifosi juventini ricorderanno la storia di Michele Padovano. Con i bianconeri vinse anche una Champions League. Nel maggio 2006 venne arrestato con l’accusa di essere un trafficante di droga. Nell’ottobre 2011 il pubblico ministero chiese per Padovano 24 anni di carcere: il successivo dicembre il tribunale lo condannò in primo grado alla pena di 8 anni e 8 mesi di reclusione, ridotti a 6 anni e 8 mesi in appello. La Cassazione annullò con rinvio. E poi è stato assolto definitivamente nell’appello bis quest’anno. È stato in carcere da innocente 90 giorni, 270 ai domiciliari.
Potremmo continuare a riempire pagine e pagine ma concludiamo con una domanda: naturalmente, perfezione pretenderebbe che l’errore giudiziario o l’ingiusta detenzione non si verificassero mai. Ciò molto probabilmente è umanamente e obiettivamente impossibile. Ma fin dove esso è fisiologico e poi comincia a divenire patologico? Qual è il confine entro cui si mantengono applicate le garanzie costituzionali? Da che punto in poi si trasforma in una stortura del sistema? Francesco Carnelutti, insigne giurista e accademico, una volta disse: “La sentenza di assoluzione è la confessione di un errore giudiziario”. Molti magistrati non la penseranno così.