I due leader a briglia sciolta
Senza Berlusconi che destra sarà? Via libera all’ala reazionaria di Meloni e Salvini
Da oggi tutta la politica italiana è tenuta a ripensarsi. La maggioranza di governo traballa, perché resta priva del suo punto di riferimento moderato
Editoriali - di Piero Sansonetti
La politica italiana è colpita da una frustata. La scomparsa di Berlusconi è un terremoto. Per la destra e il centrodestra, che perdono il loro fondatore. Per la parte maggioritaria della sinistra che dal 1994 a oggi ha vissuto di antiberlusconismo. Lasciamo stare le inaudite volgarità di settori marginali alla vita pubblica. Punte di diamante del qualunquismo. Mi riferisco al Fatto Quotidiano che ha salutato con gioia la morte di Berlusconi con una vignetta oscena nella quale si chiede al creatore di completare lui l’opera non riuscita alle Procure.
Restiamo nel mondo civile. La destra ha perduto il suo fondatore, l’uomo che ha pensato il centrodestra, lo ha modellato, lo ha educato, lo ha dotato di strumenti, lo ha portato a governare il paese. La sinistra antiberlusconiana non ha più il punto di riferimento che giustificava il suo impegno moralistico e la sua alleanza col mondo reazionario delle Procure. È disarmata. Che vuol dire questo? Semplicemente che da oggi tutta la politica italiana è tenuta a ripensarsi. La maggioranza di governo traballa, non perché le manchino i numeri, ma perché resta priva del suo punto di riferimento moderato. E rischia davvero di scivolare nel lepenismo.
La sinistra, da parte sua, deve rinunciare a molti automatismi. Deve capire che non può più vivere di contrasto, ma che deve costruire. E portare il conflitto fuori dall’etica e dal giustizialismo, in un campo fatto di rapporti sociali, di economia, di organizzazione della vita civile e dei rapporti umani. Non è una cosa facile. Il giustizialismo è semplice, la politica è complicata. Berlusconi è stato tante cose. In campi diversi. Per me è stato soprattutto l’avversario che voleva cancellare la grande spinta del Sessantotto, annullare i movimenti e azzerare quel senso comune cristiano e socialista (lo chiamavano cattocomunismo) che aveva egemonizzato il paese fino alla fine degli anni Ottanta. Ci è riuscito? In gran parte sì. Quel suo disegno è stato la sua forza; e la sinistra, per opporsi, ho trovato solo la ricerca affannosa e folle degli scandali.
Poi c’è il Berlusconi che ha lottato contro lo stravolgimento della democrazia operato dalle Procure e dai giornali che le hanno seguite. Quello credo che sia il miglior Berlusconi. Però era isolato. Anche a destra era isolato. Fu sconfitto. Il giorno nero – e vergognoso per il nostro Parlamento – fu il giorno nel quale fu espulso dal Senato. A me questo secondo Berlusconi piaceva. 100 processi, in 99 non colpevole e una condanna che sarà presto rovesciata dalla Corte europea.
Infine c’è un terzo Berlusconi. Quello che con tutta la prudenza del mondo ha tentato di imporre linee pacifiste all’Occidente. Ebbe un gran successo, su questo terreno, al vertice di Pratica di Mare, nel 2002. Ma poi la sua idea è stata travolta dagli americani e anche dai russi. Ancora quest’estate ha tentato di frenare la politica interventista del governo italiano. Ci parlai al telefono, in luglio – una delle poche volte che ci ho parlato – e lui aveva un atteggiamento di nettissima condanna per il guerrismo occidentale e italiano. Il primo Berlusconi ha vinto. Il secondo e il terzo hanno perso. Se fosse avvenuto il contrario l’Italia oggi sarebbe un paese molto molto migliore di quello che è.