Il dramma migranti
Intervista a padre Camillo Ripamonti: “La retorica è solo un velo: l’Ue sacrifica vite umane”
I migranti hanno diritto ad avere il diritto di chiedere asilo. Ma quel diritto da anni non glielo stiamo più garantendo
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Il suo è un j’accuse potente contro l’Europa-fortezza, mossa solo dall’ossessione dell’esternalizzazione delle frontiere. L’Europa che assiste inerme, se non complice, alle stragi di innocenti che si susseguono nel “Mare della Morte”: il Mediterraneo. La parola a padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati.
Padre Ripamonti, l’ecatombe di migranti nell’Egeo chiama in causa pesantemente non solo le autorità greche ma anche l’Europa.
L’Europa continua a proteggere i confini e a difendersi da coloro che sono le vittime di un mondo ingiusto. Dovremmo aver imparato negli anni, ormai troppi, che non si fermano gli arrivi ostacolando le partenze, rendendo più difficoltosi i viaggi. L’unico risultato di queste politiche è l’aumento delle morti alle frontiere. La drammatica e cinica conclusione di questo agire è che di fatto riteniamo alcune vite sacrificabili. E se non si cambia radicalmente ottica la situazione, già drammatica, rischia di aggravarsi ulteriormente.
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Perché?
Che le partenze dalla Libia e dalla Tunisia siano sostanzialmente impossibili da fermare, è un dato di fatto. L’estate alle porte vedrà migliaia e migliaia di persone che tenteranno la fortuna.
L’Unità ha titolato a tutta pagina: “Assassinati”, chiamando in causa le pesanti responsabilità dell’Europa.
L’Europa avrebbe potuto e dovuto evitare questa tragedia. A pochi giorni dal nuovo Patto Ue per la migrazione e l’asilo, la vacua retorica securitaria e l’ipocrita propaganda emergono davanti al terribile naufragio in cui hanno perso la vita esseri umani in cerca di salvezza, secondo cui si continua a morire alle frontiere d’Europa perché non vi è un’azione comune di ricerca e soccorso dei migranti ma si continuano a investire risorse sulla chiusura e l’esternalizzazione delle frontiere, facendo accordi con Paesi di transito illiberali e antidemocratici; manca la volontà degli Stati europei di istituire vie d’accesso legali e sicure per chi cerca protezione in Europa, unico vero strumento per contrastare il traffico e la tratta di esseri umani; non si ha il coraggio e l’intelligenza politica di varare un piano europeo per l’accoglienza e la redistribuzione di richiedenti asilo e rifugiati nei 27 Stati membri che superi il Regolamento di Dublino e che non sia gestito solo su base volontaria.
Il Mediterraneo è da tempo ormai il “Mare della Morte”. Eppure l’Italia e l’Europa continuano a guardare ai Paesi della sponda Sud, Tunisia e Libia in primis, come grandi “scatoloni” nei quali contenere, non importa come e con quali mezzi, centinaia di miglia di esseri umani, i migranti.
Purtroppo è così. La prospettiva è sempre quella di difesa e di protezione dei confini. Anche nell’accordo recentemente raggiunto in sede UE e su quello che si sta realizzando sul patto di asilo, l’idea di assumersi la responsabilità del soccorso in mare come qualcosa di prioritario, non viene fuori come una urgenza, come priorità assoluta. Sembra quasi che ci siano delle vite che contano e altre che non hanno valore. Queste centinaia di persone che sono morte rischiano domani di essere dimenticate in attesa di altri morti che con questo tipo di politiche non possiamo che aspettarci, drammaticamente. Si continua a non voler assumere la complessità che caratterizza il fenomeno delle migrazioni, da tutti i punti di vista. Non soltanto da quello dell’Europa o dei singoli Stati, tra cui l’Italia, che si difendono da una inesistente “invasione”. Occorre invece assumere la prospettiva di chi si mette in fuga alla ricerca di quelle libertà civili che non vengono garantite nei loro Paesi. Hanno diritto ad avere il diritto di chiedere asilo. Quel diritto che da anni non gli stiamo garantendo. È il senso dell’incontro di oggi (ieri per chi legge, ndr) promosso dal Centro Astalli dal titolo “Rifugiati: in gioco il futuro dei diritti”. Se viene meno questo diritto ad avere diritti perché tu scappi da un posto in cui le libertà democratiche non sono garantite, poi a cascata tutti gli altri diritti s’impoveriscono. Se c’è qualcuno che ha dei diritti e altri che non li hanno, allora trasformi un diritto in privilegio. Questa operazione che si fa, a lungo andare ha delle ricadute negative su tutti. Sempre nell’incontro alla Pontificia Università Gregoriana, abbiamo voluto guardare il tutto da una prospettiva culturale. Se non si riparte creando le fondamenta, quindi una riflessione sulla cultura dell’accoglienza, sulla cultura del dialogo e dell’ascolto, sull’incontro tra culture, perché dall’incontro con un’altra persona io devo essere anche disposto ad ascoltare il suo punto di vista e confrontarmi con lui, ecco, se non si riparte costruendo questo tipo di cultura siamo destinati all’imbarbarimento culturale e alla disumanità. Ci lasciamo convincere che ci sono migranti di serie a e migranti di serie B o Z, che ci sono quelli che hanno diritto a scappare e altri che non ce l’hanno. E ci dimentichiamo che è un mondo ingiusto a creare questa umanità sofferente alla ricerca di un futuro che le viene negato.
Cambiare rotta. Il “nocchiero” c’è già: Papa Francesco. Con Bergoglio il Centro Astalli ha sempre avuto un rapporto fecondo, di condivisione. Penso, ad esempio, alle due missive indirizzate da Francesco direttamente al Centro Astalli nel 2019 e nel 2021.
In questi discorsi il filo conduttore è certamente il riportare tutto al rapporto con le persone, e ai rifugiati in particolare, che in questi tempi sono considerati sempre più o come oggetti o come numeri. Quello che il Papa ci ricorda, capovolgendo quello che è l’immaginario collettivo di questi anni, è che non deve essere considerata la migrazione semplicemente come un problema da risolvere ma come una ricchezza che va valorizzata, e questa è un po’ la traiettoria che lui ci dà e che serve per costruire poi il futuro.
Un futuro inclusivo che per essere realizzato ha bisogno anche di un grande ripensamento culturale, etico, oltreché politico.
Assolutamente sì. Per iniziare a costruire un futuro con i migranti e i rifugiati è indispensabile che si inizi a pensare a loro come persone e non come numeri o statistiche. Sono individui che hanno il diritto ad essere valorizzati per contribuire alla costruzione di una società che sia un luogo di vita per tutti.