Altro che comuni radici
Barconi di migranti, l’epidemia di cristiana indifferenza
I barconi stracolmi sulle rotte di fuga dei migranti danno una idea di quante siano le persone in cerca di riparo dalle calamità ed è difficile poter affrontare questi grandi numeri solo con i corridoi umanitari
Cronaca - di Fabrizio Mastrofini
C’erano una volta le “radici cristiane” dell’Europa, uno dei temi fondamentali del pontificato di Giovanni Paolo II, oggi puntualmente smentite dal ripetersi delle stragi dei migranti. Nel primo viaggio fuori dall’Italia di papa Francesco, proprio a Lampedusa, l’8 luglio 2013, a distanza di poche settimane da una strage in mare, nell’omelia della messa il pontefice argentino iniziava cosi: “ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore”.
Da allora, le morti in mare si sono ripetute molte volte. E quella dell’altro giorno al largo della Grecia è destinata a venire ricordata come una delle peggiori stragi. Forse dovremmo parlare di un’epidemia di cristiana indifferenza? Ma appunto c’erano “una volta” le radici cristiane dell’Europa. Giovanni Paolo II aveva impostato il tema fin dall’avvio del pontificato, poi con il primo viaggio in Polonia. Nel novembre 1981 parlando ai partecipanti al convegno internazionale sulle “Comuni radici cristiane delle Nazioni Europee”, aveva avuto espressioni da rileggere, per il grande valore anticipatorio. Il papa polacco guardava lontano.
Diceva infatti: abbiamo un’Europa della cultura, un’Europa del lavoro e dello sviluppo tecnologico. “Ma c’è pure l’Europa delle tragedie dei popoli e delle Nazioni, l’Europa del sangue, delle lacrime, delle lotte, delle rotture, delle crudeltà più spaventose. Anche sull’Europa, nonostante il messaggio dei grandi spiriti, si è fatto sentire pesante e terribile il dramma del peccato, del male, che, secondo la parabola evangelica, semina nel campo della storia la funesta zizzania. Ed oggi, il problema che ci assilla e proprio salvare l’Europa e il mondo da ulteriori catastrofi!”.
Per questo Giovanni Paolo II aveva deciso di allargare il ventaglio dei santi patroni: affiancando a san Benedetto (la civiltà culturale antidoto alla barbarie e alla dimenticanza) i santi Cirillo e Metodio, i due fratelli evangelizzatori dell’Est e costruttori di civiltà con l’invenzione dell’alfabeto. Sui valori, c’è da ricordare che il 7 dicembre 2000 è stata varata a Nizza la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, poi integrata nel Trattato di Lisbona del 2009. “Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale – si legge nella Carta – l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l’Unione si basa sui principi di democrazia e dello Stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione”.
Se i riferimenti religiosi si sono completamente perduti nei passaggi dei documenti politici, papa Francesco, nella linea dei suoi due predecessori, non perde mai di vista la necessità di richiamare i princìpi di fondo. Da notare che la presenza della Santa Sede nelle grandi questioni contemporanee è un effetto del Concilio Vaticano II, con l’azione di Giovanni XXIII (nella crisi dei missili a Cuba, per esempio) e con Paolo VI. Dando la precedenza ai problemi dell’Europa, Paolo VI portò la Santa Sede alla Conferenza di Helsinki nel 1975 rispondendo ad una iniziativa dell’Unione Sovietica. La libertà religiosa rivendicata dalla Santa Sede a Helsinki per tutti, credenti e non credenti, cattolici e atei, significava in so-stanza libertà di pensiero e di coscienza. Fu un valido sostegno nella lotta dei dissidenti sovietici, di Carta ‘77 in Cecoslovacchia e Solidarnosc in Polonia.
E adesso? Di fronte alla tragedia dei migranti, come rispetto alla guerra in Ucraina, papa Francesco ricorda il dovere di accoglienza e la solidarietà. In sua compagnia viaggia la Comunità di Sant’Egidio, che può vantare i brillanti risultati dei “corridoi umanitari” che hanno portato legalmente in Europa alcune centinaia di profughi e migranti. Un modello da esportare, anche se le tragedie del mare ci danno un’idea di quante siano le migliaia di persone in cerca di riparo dalle calamità ed è difficile poter affrontare questi grandi numeri con i corridoi.
Anche per questo il papa non perde occasione di parlare, pur sapendo quanto sia difficile la sfida di farsi ascoltare ed il silenzio assordante da parte dei grandi gruppi multimediali che enfatizzano magari le tragedie ma non la ricerca di soluzioni. In ogni caso nel messaggio di sabato 11 giugno al gruppo del Partito popolare europeo nel Parlamento Europeo, notava come “un progetto di Europa oggi non può che essere un progetto di respiro mondiale. Ritengo che i politici cristiani oggi si dovrebbero riconoscere dalla capacità di tradurre il grande sogno di fraternità in azioni concrete di buona politica a tutti i livelli: locale, nazionale, internazionale. Ad esempio: sfide come quel-la delle migrazioni, o quella della cura del pianeta, mi pare che si possano affrontare solo a partire da questo grande principio ispiratore: la fraternità umana”.
E martedì, nel Messaggio per la Giornata mondiale dei Poveri, che si celebra a novembre, papa Francesco seppur non parlando espressamente di migranti, ha allargato la riflessione sul tema più generale della povertà, con espressioni incisive. “Viviamo un momento storico che non favorisce l’attenzione verso i più poveri. Il volume del richiamo al benessere si alza sempre di più, mentre si mette il silenziatore alle voci di chi vive nella povertà”. E – ha aggiunto – “Malgrado i limiti e talvolta le inadempienze della politica nel vedere e servire il bene comune, possa svilupparsi la solidarietà e sussidiarietà di tanti cittadini che credono nel valore dell’impegno volonta-io di dedizione ai poveri. Si tratta certo di stimolare e fare pressione perché le pubbliche istituzioni compiano bene il loro dovere; ma non giova rimanere passivi in attesa di ricevere tutto “dall’alto”: chi vive in condizione di povertà va anche coinvolto e accompagnato in un percorso di cambiamento e di responsabilità”.
Tra i più attivi a sostenere papa Francesco in questa opera di sensibilizzazione c’è mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che recentemente ha parlato dei “crocifissi odierni” cioè “i morti in Ucraina, i migranti, coloro che patiscono la fame. È una memoria che deve scuoterci e scardinare la rassegnazione di un mondo di guerra e di disgrazie”. “C’è bisogno di operare affinché tra fratelli non ci si ammazzi. È un qualcosa che possiamo fare. La fratellanza non è un concetto spirituale, ma umano”.
La Chiesa dunque ha le idee ben chiare e da sempre, mentre la politica stenta. Anche per questo, forse, l’account twitter della Pontificia Accademia per la Vita ieri ha fatto notare sia la prima pagina de L’Unità, sia la vignetta di Mauro Biani su “La Repubblica” (il mare e la scritta in alto, su fondo nero: “senza funerali”). Resta il messaggio attualissimo del papa da Lampedusa: “in questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”. Era il 2013; se siamo indifferenti, allora non siamo cristiani.