X

“Palestina paese aggredito, ma Ue e Italia fanno finta di niente”, intervista a Abeer Odeh

“Palestina paese aggredito, ma Ue e Italia fanno finta di niente”, intervista a Abeer Odeh

«Il riconoscimento da parte dell’Italia e dell’Europa di uno Stato palestinese indipendente sui confini del 1967 con capitale Gerusalemme Est sarebbe molto importante. Aggiungo che non si tratterebbe solo di un gesto simbolico, ma di un atto dovuto e atteso da tempo che l’Italia e l’Europa devono necessariamente compiere se vogliono attenersi al diritto internazionale». Ad affermarlo, in questa intervista esclusiva concessa a l’Unità, è l’Ambasciatrice di Palestina in Italia, Abeer Odeh.

“L’espansione degli insediamenti rappresenta un chiaro ostacolo all’orizzonte di speranza che cerchiamo”. Ad affermarlo è il Segretario di Stato Usa Antony Blinken. Ma Israele continua ad espanderli, gli insediamenti. Le parole si perdono nel vento. Che fare, Signora Ambasciatrice?
Non c’è nessuno al mondo che non abbia condannato e non continui a condannare le colonie illegali di Israele in Palestina. Sono illegali secondo il diritto internazionale e secondo numerose risoluzioni Onu. Ci basti qui ricordare la Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 23 dicembre 2016, adottata con 14 voti a favore e l’astensione degli Stati Uniti, che non hanno fatto ricorso al loro potere di veto per bloccare il provvedimento. Ebbene, questa Risoluzione, come tutte le altre approvate sin qui dall’Onu, sottolinea che “la cessazione di tutte le attività di insediamento israeliane è essenziale per salvare la soluzione dei due Stati, e chiede che vengano immediatamente adottate misure concrete per invertire le tendenze negative che stanno mettendo in pericolo questa soluzione”. Nessuno osa negare questa realtà e questa necessità, a parte Israele, che ha appena intrapreso la costruzione di migliaia di nuove unità abitative in Cisgiordania e sta addirittura considerando l’ipotesi di far risorgere le vecchie colonie evacuate a Gaza nel 2005. La questione è come far rispettare questa giurisprudenza e come persuadere Israele a smettere di costruire colonie e a ritirarsi da quelle già esistenti. A dir la verità, ci sarebbero molte soluzioni diplomatiche per questo, a cominciare dalle sanzioni internazionali, che di solito funzionano come strumento di persuasione. Purtroppo, ci sono contesti in cui la comunità internazionale è disposta ad applicare misure concrete per far rispettare la legge, ci sono altre zone del mondo, come la Palestina, dove il diritto internazionale sembra valere di meno, e ci sono Paesi, come Israele, a cui viene garantita l’impunità sempre e comunque. Noi, da parte nostra, abbiamo dimostrato anche recentemente, nei Summit di Aqaba e Sharm El-Sheikh tenuti con gli israeliani alla presenza di Egitto, Giordania e Stati Uniti, la nostra volontà di pace e negoziati, in un “orizzonte di speranza”. Purtroppo, gli annunci fatti e le azioni commesse da Israele subito dopo questi incontri di febbraio e di marzo, nel rinnegare ancora una volta quanto appena condiviso rispetto agli insediamenti, hanno lasciato a bocca aperta perfino gli Stati Uniti, come dimostrano le dichiarazioni del Segretario di Stato Blinken.

L’Europa è tutta concentrata sulla guerra in Ucraina, a sostegno del popolo aggredito. Sulla Palestina e il suo popolo sembra essere calato il silenzio. Due pesi, due misure?
Questo è proprio quello che stavo cercando di dire. La guerra in Ucraina è un chiaro esempio di come la comunità internazionale – compresa l’Europa – sia pronta a mobilitarsi, e perfino a ricorrere alle armi, quando il diritto internazionale e i diritti umani sono a rischio. Per citare un solo dato, dalla fine di settembre del 2000 ai primi di maggio di quest’anno, Israele ha ucciso 2.250 bambini palestinesi. Gli estremi per intervenire a livello internazionale e fermare questa strage ci sarebbero eccome, eppure regna l’inerzia. Né si può dire che siano gli interessi economici ad impedire qualsiasi azione, visto che il giro d’affari con Israele non è nemmeno paragonabile a quello con la Russia, che pure in molti sembrano felici di sacrificare anche incorrendo in gravi crisi, se necessario.
Il fatto che nessuna misura concreta sia stata presa ad oggi rispetto alle violazioni commesse da Israele contro il popolo palestinese rappresenta una chiara applicazione di “due pesi, due misure”.

Signora Ambasciatrice, i governanti israeliani s’inalberano quando vengono accusati di aver realizzato un sistema di Apartheid nei Territori Palestinesi Occupati. Cosa risponde e quali sono gli aspetti più pervasivi, brutali, di questo sistema per la popolazione palestinese?
Perché mai dovrebbero inalberarsi se sono proprio loro a teorizzare e ad incoraggiare la nostra eliminazione dalla terra in cui viviamo e che loro occupano illegalmente? Noi palestinesi siamo da molto tempo consapevoli di vivere in un regime di Apartheid. Il primo a paragonarlo a quello del Sudafrica è stato proprio Nelson Mandela. I lavori pubblicati dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem e da Human Rights Watch rispettivamente nel gennaio e nell’aprile del 2021, quello pubblicato da Amnesty International nel febbraio del 2022, e il Report della Relatrice Speciale sulla Situazione dei Diritti Umani nel Territori Palestinesi Occupati dal 1967, presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre del 2022, confermano quello che noi già sapevamo. Ciò che chiedono è di porre fine a un sistema di Apartheid che non solo ci nega la possibilità di avere un nostro Stato, ma viola costantemente i nostri diritti umani, infliggendoci uccisioni ingiustificate, detenzioni arbitrarie e condizioni disumane nelle carceri israeliane, trasferimenti forzati e demolizioni delle nostre case come sta accadendo a Sheikh Jarrah e a Masafer Yatta, per non parlare di come ci è precluso un accesso equo alle risorse naturali e finanziarie, ai mezzi di sostentamento, all’assistenza sanitaria, all’istruzione e persino alla religione, come abbiamo visto con l’ultima provocazione del governo israeliano che ha deciso di riunirsi presso la Moschea di Al-Aqsa. Tutto questo è diventato più evidente adesso che Israele è governato da estremisti, ma possiamo assicurarvi che il sistema di Apartheid è stato costruito e mantenuto per decenni dai successivi governi israeliani, indipendentemente dalle forze politiche al potere. È forse giunto il momento che la comunità internazionale faccia il suo dovere e cominci a proteggere il popolo palestinese, se non vuole che la situazione peggiori ulteriormente fino ad esplodere.

La politica internazionale è fatta anche di gesti, di atti simbolici. Quanto peserebbe il riconoscimento unilaterale da parte dell’Italia e dell’Unione Europea di uno Stato palestinese indipendente?
Il riconoscimento da parte dell’Italia e dell’Europa di uno Stato palestinese indipendente sui confini del 1967 con capitale Gerusalemme Est sarebbe molto importante. Aggiungo che non si tratterebbe solo di un gesto simbolico, ma di un atto dovuto e atteso da tempo che l’Italia e l’Europa devono necessariamente compiere se vogliono attenersi al diritto internazionale. Non dimentichiamo che il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione rappresenta uno dei principi fondamentali del diritto internazionale, e che è responsabilità di tutti gli Stati assicurare che questo diritto sia realizzato. Sappiamo che l’Italia non si sottrarrebbe mai a questa responsabilità. Ecco perché chiediamo semplicemente al governo italiano di riconoscere lo Stato di Palestina, in linea con la storica posizione ufficiale dell’Italia a favore di “due popoli e due Stati” e coerentemente con le risoluzioni ONU alla cui approvazione l’Italia ha così tanto contribuito. L’Italia, l’Europa, l’intera comunità internazionale dovrebbero prendere sul serio le proprie responsabilità, pretendere il rispetto del diritto internazionale, far pagare Israele per i suoi crimini ed esigere la fine dell’occupazione più lunga mai vista nella storia moderna.

Signora Ambasciatrice, cosa impedisce un ricambio di classe dirigente in campo palestinese? Soprattutto tra i giovani cresce il distacco e la disillusione.
Sarebbe ingiusto dire che il distacco e la disillusione dei nostri giovani siano causati dalla natura della nostra leadership, che da anni lotta per ottenere giustizia, soprattutto per loro. Ciò che toglie ai nostri giovani ogni speranza, ciò che sta rubando loro qualsiasi prospettiva di miglioramento in futuro è l’interminabile occupazione israeliana della loro terra e delle loro vite. Parliamo di un’occupazione illegale – non dimentichiamolo – che continua solo grazie all’indifferenza della comunità internazionale e nella totale assenza di un’iniziativa internazionale credibile che possa decretarne la fine chiamando Israele a rispondere delle sue azioni criminali. La frustrazione dei giovani palestinesi origina da qui, non certo dalla nostra classe dirigente, che si sarebbe già presentata alle elezioni molto tempo fa, se Israele non avesse impedito che queste si tenessero anche a Gerusalemme Est, nostra capitale legittima.