L'ultima strage
Tutta Europa sapeva del rischio affondamento del barcone, anche Roma
Non potevamo intervenire e poi protestare perché i greci, al solito, aspettano che arrivino da noi per non doverli andare a prendere?
Cronaca - di Angela Nocioni
Tutta Europa sapeva. E nessuno s’è mosso. Nemmeno l’Italia. Pare nessuno si sia accorto che fermi a guardare siamo rimasti anche noi mentre 750 disperati, accatastati l’uno sull’altro, con le braccia alzate verso il cielo imploravano aiuto a un elicottero che si limitava a fotografarli. Non pesano solo sulla Grecia i 500 o 600 affogati nel mare blu del Peloponneso.
Quei cento bambini che hanno fatto la fine dei topi, intrappolati nella stiva con le loro madri, non pesano forse anche sulle coscienze del Centro soccorsi in mare di Roma (l’Mrcc, il rescue coordination center) che alle undici di mattina, 15 ore prima del naufragio, s’è limitato a chiamare il centro soccorso dei greci per rinnovare l’allarme? Per l’Mrcc di Roma la guardia costiera greca non è una entità sconosciuta. I nostri militari sanno che tenta sempre di scaricare sull’Italia i soccorsi. Sanno che fa finta di nulla, sanno che non vuole andare a prendere i migranti, sanno che temporeggia aspettando che i barconi escano dalla zona di competenza greca ed entrino in quella italiana. Lo sanno perché accade tutti i giorni.
Se sai che ci sono 750 persone in 30 metri di barca ad alto rischio naufragio, tu, ufficiale della guardia costiera italiana, alzi il telefono per dire (a chi già sai non vuole muovere un dito) di andare a soccorrerli e, messo giù il telefono, resti a guardare? Oppure mentre telefoni ti occupi tu, intanto, di andare a salvarli? Peggiori di quelle braccia conserte – di Atene, di Malta, di Roma, di Frontex, di tutti quelli che potevano muoversi e non si sono mossi – ci sono solo le lodi discrete che i giornali italiani ieri tessevano alla nostra guardia costiera che “s’è comportata bene”, “ha avvisato i greci”.
La scusa, troppo esile, è la Sar. Il peschereccio affondato era in Sar greca. Le Sar sono i quadranti di acque internazionali in cui convenzionalmente si divide il mare al di fuori delle acque territoriali per dare una priorità di competenze nei salvataggi. Ma è una convenzione la Sar. Un’astrazione. Non sono nemmeno acque territoriali, sono acque internazionali. Se ci sono 750 persone a rischio naufragio – e 750 persone in 30 metri di barca non possono non esserlo – prima le vai a salvare e poi protesti con chi doveva andare e non è andato. Non aspetti che affoghino per poi dire: spettava ai greci.
Davvero, anche se non toccherebbe a noi intervenire ma sappiamo, vediamo che nessuno si muove e non ci muoviamo neppure noi, possiamo sentirci assolti? Davvero basta essere formalmente considerati non responsabili per non sentirsi coinvolti? Ma davvero in mare vedete confini come quelli in terra, dove a cento metri più in là, in casa d’altri, può accadere di tutto e non ci riguarda? Ieri (ieri!) la Guardia costiera diffondeva il seguente comunicato: «Prende il via l’operazione estiva “Mare Sicuro”, ogni giorno 3.000 donne e uomini del Corpo, oltre 400 mezzi navali e 16 mezzi aerei impegnati lungo gli 8.000 km di coste pronti a intervenire in caso di emergenze.”Il soccorso in mare – ha detto il comandante generale del Corpo, ammiraglio Nicola Carlone – rappresenta la nostra prima missione. Con l’operazione Mare Sicuro ci prefiggiamo lo scopo di salvaguardare tutti coloro che fruiscono delle nostre spiagge e dei nostri mari, garantendo ai milioni di turisti e residenti un’estate all’insegna di sicurezza e legalità».
Da quando, il 26 febbraio a pochi metri dalla riva calabrese di Cutro un caicco pieno di bambini – non s’è mai saputo quanti – s’è schiantato senza che nessuno andasse a soccorrerlo nonostante fosse stato avvistato e segnalato già due giorni, perché si era attivata (per finta peraltro) un’operazione di polizia e non una operazione di soccorso, la Guardia costiera, che in quella occasione era stata tenuta ferma per dare la precedenza ai militari della Guardia di finanza, ha ricominciato a rivendicare con orgoglio la sua attività di soccorso in mare. Da dopo la strage. Nella quale probabilmente i militari responsabili di omissione di soccorso non sono i suoi. Negli ultimi anni, va notato per capire il clima e le condizioni concrete nelle quali maturano le tragedie non casuali, la Guardia costiera s’è guardata bene dallo sbandierare i salvataggi preziosi, che compie.
Tanti, anche mille persone al giorno. Eppure fino a Cutro è stata attenta a non farlo sapere troppo in giro. Basta un’occhiata a ritroso sul sito della Gc per vedere com’è cambiata – sarebbe interessante sapere su impulso di chi – la comunicazione del glorioso corpo della Marina. Addirittura la nave Gregoretti, la leggendaria Gregoretti, finisce sulla home page della Gc per aver sequestrato 6 pesci spada “tagliati in pezzi allo scopo di rendere più complessa la misurazione della loro lunghezza per eludere la sanzione prevista per la materia in sottomisura”. Noi ce la ricordavamo perché salvava vite umane. Che fine hanno fatto quelle foto della plancia assolata della nave solcata dagli sguardi indicibili di persone appena tirate fuori dalle onde? I cinquantacinquemila migranti salvati dalla Guardia costiera nel 2022 sono stati accuratamente nascosti nella comunicazione che il corpo fa di se stesso.
Sostituiti da tonni sottomisura e ben sette quintali di lampughe sprovviste della documentazione prevista dalle norme sulla tracciabilità scovate il 21 novembre scorso durante un’ispezione della nostra Guardia costiera che, una volta, non aveva come fiore all’occhiello la lotta alla pesca di frodo. Chi sa di mare dice che è dal 2019 che la Guardia costiera è finita sotto schiaffo e i salvataggi li fa, ma sta ben attenta a non sbandierarli. Da allora subisce una sorta di subordinazione di fatto al Viminale. Prima di allora il Centro di coordinamento del soccorso in mare di Roma, decideva in piena autonomia se bisognava avviare una operazione di salvataggio in mare o no, indipendentemente da ciò che diceva il Viminale che aveva competenza solo su indicazione del porto di sbarco per i naufraghi.
Le operazioni di polizia in mare erano subordinate alle attività di soccorso. Da allora in poi, mascherato dalla necessità di arrestare gli “scafisti” – che se sono in un gommone insieme agli altri in balia delle onde non sono di certo i veri trafficanti – si è imposto il principio della priorità delle indagini di polizia. I migranti non sono più stati qualificati come potenziali naufraghi, ma come migranti in transito che rientrano nella fattispecie di “vittime di tratta” e clandestini in ingresso illegale. E anche alle Ong che fanno salvataggi viene fatta la guerra con l’argomentazione sconcertante che l’attività di soccorso impedirebbe la cattura dei favoreggiatori e ostacolerebbe le indagini.
Una direttiva (scovata da Alessandra Ziniti su Repubblica subito dopo la strage di Cutro) emanata da Salvini, allora ministro degli Interni, nel 2019 – che ne richiama un’altra firmata da Beppe Pisanu (Forza Italia) nel 2005 e mai applicata prima che uscisse quella di Salvini nel 2019 – ordina di «attenersi scrupolosamente alle indicazioni operative al fine di prevenire l’ingresso illegale di immigrati sul territorio nazionale». Basta la visita di Matteo Salvini al Comando, subito dopo l’insediamento a capo del ministero dell’infrastrutture nel governo Meloni, a spiegare la sensibilità dei vertici della Guardia costiera ai suoi voleri?
A sentire i pochi che dentro il corpo militare parlano, l’operazione di sottomissione di fatto sarebbe cominciata durante il governo Conte 1, con Salvini agli Interni che si mette ad assegnare il porto di sbarco, sempre stato competenza delle Capitanerie di porto. Alle infrastrutture c’era Danilo Toninelli sotto i cui occhi ignari non è stato difficile, pare, far passare i cambiamenti della distribuzione delle competenze nei salvataggi in acque internazionali. Sta di fatto che sono cinque anni, fino alla strage di Cutro, che i vertici del corpo non parlano di soccorsi. L’ultimo fu l’ammiraglio Pettorino nel giugno 2018. «Noi non abbiamo mai lasciato da solo nessuno in mezzo al mare».
Fu lui a raccontare a Toninelli e Salvini la notte del 16 ottobre del 1940 del comandante della Regia Marina Salvatore Bruno Todaro che salvò i nemici naufragati. Fu lui il primo a citare quel «l’ho fatto perché ho duemila anni di civiltà sulle spalle» (che s’è giocato Matteo Renzi in Senato davanti a un Piantedosi incespicante nel tentare di negare l’evitabilità di quella strage a due passi dalla costa). L’ammiraglio Pettorino passa per essere l’unico che resistette alla pressione del Viminale. Tra i suoi c’è chi fa notare un dettaglio: “La sua resistenza durò 15 giorni, poi s’acquattò con discrezione e più tardi, a scenario raffreddato, fu premiato”.