L’exploit recente di Ken Loach a Cannes ha riacceso i riflettori sull’impegno civile degli intellettuali. Fu lo stesso regista di capolavori indimenticati come Piovono pietre e La parte degli angeli, in occasione del Torino Film Festival del 2012 a rendersi protagonista di un grande gesto di solidarietà nei confronti dei lavoratori del Museo Nazionale del Cinema, quando rifiutò di ritirare il Gran Premio Torino, a lui assegnato quell’anno.
Venuto a conoscenza dei tagli di stipendio, licenziamenti e politiche di esternalizzazione dei servizi eseguiti dal Museo, Loach prese le parti dei lavoratori e dichiarò: «È con grande dispiacere che mi trovo costretto a rifiutare il premio che mi è stato assegnato dal Torino Film Festival, un premio che sarei stato onorato di ricevere, per me e per tutti coloro che hanno lavorato ai nostri film. Mi aspetterei che il Museo, in questo caso, dialogasse con i lavoratori e i loro sindacati, garantisse la riassunzione dei lavoratori licenziati e ripensasse la propria politica di esternalizzazione».
Ken Loach non è stato il primo ad aver usato la cassa di risonanza di un premio per scuotere le coscienze. Altri grandi intellettuali e personaggi di grande rilievo nel panorama culturale hanno rifiutato prima di lui un’onorificenza in nome di cause sociali che ritenevano superiori alla gloria d’una medaglia o una statuetta. E tra questi ci sono molti casi clamorosi che hanno fatto la storia:
Marlon Brando rifiuta l’Oscar nel 1973
A fare da capolista, se non altro per affinità tematica con Ken Loach non può che esserci Marlon Brando, leggenda del cinema e storico interprete di film come Un tram che si chiama Desiderio, Fronte del Porto ( per cui vinse un Oscar), Ultimo tango a Parigi e ovviamente Il Padrino. È proprio per quest’ultimo film, diretto da Francis Ford Coppola, che il 27 marzo del 1973, l’attore vinse il Premio Oscar come Miglior Attore.
Al momento della consegna, al posto di Brando sul palco salì l’attrice e attivista Sacheen Littlefeather che in un discorso di cui si può tuttora trovare il video online, dichiarò che l’attore si rammaricava di non poter accettare il premio ma si trovava costretto a rifiutare come protesta contro la rappresentazione discriminatoria dei Nativi Americani da parte di Hollywood. Più tardi si scoprì anche che Littlefeather in realtà era lei stessa una nativa americana dal nome di Marie Louise Cruise. Il discorso integrale di Brando fu poi inviato ai giornali dell’epoca che lo ripresero interamente. Si denunciavano gli Studios per avere denigrato e deriso i Nativi, riducendone i personaggi nei film a delle scimmiottature.
Ad aumentare il carico c’era stato anche l’assedio di Wounded Knee, nel Sud Dakota, di cui la stampa non si era curata. Il rifiuto di “Vito Corleone” fece particolarmente scalpore poiché solo due persone prima di Brando avevano osato voltare la faccia al premio più importante del mondo cinematografico. Il primo fu lo sceneggiatore Dudley Nichols che nel 1935 non accettò l’Academy Award per la scrittura de Il traditore, per supportare lo sciopero degli sceneggiatori. Ironia della sorte, ad Hollywood proprio in questi giorni, è in corso una protesta simile. Tra gli attori, a dire no alla statuetta prima di Brando, c’erao stato l’attore George C.Scott che nel 1971 rinunciò al riconoscimento per la sua performance in Patton, generale d’acciaio.
George Bernard Shaw e quel Nobel demoniaco
Se non accettare un Oscar è certamente un bell’affronto per la comunità cinematografica, figuriamoci l’effetto che ebbe il gesto di rifiuto del drammaturgo inglese George Bernard Shaw verso la più grande onorificenza che si possa ricevere nel mondo della cultura: il premio Nobel. Nel 1925 con tanto di dichiarazione shock, Bernard Shaw additava il premio come quasi demoniaco: «Posso perdonare Alfred Nobel per aver inventato la dinamite, ma solo un demone con sembianze umane può aver inventato il Premio Nobel».
L’Accademia del Nobel aveva scelto Bernard Shaw «per la sua opera carica di idealismo ed umanità, la cui satira stimolante è spesso infusa di un’originale bellezza poetica». In una lettera inviata all’istituzione onde ampliare e meglio motivare quanto dichiarato inizialmente a testimoniare il rifiuto, il drammaturgo scrisse: «I miei lavori e le loro rappresentazioni provvedono largamente ai miei bisogni. Quanto alla mia fama essa è già grande e abbastanza favorevole per la mia salute spirituale. In questa circostanza la somma sarebbe come una cintura di salvataggio che si getta a un uomo che ha già raggiunto la riva e che vi si trova sicuro». La somma in questione, destinata al Nobel di quell’anno, era di circa 6500 sterline.
Nel caso di Bernard Shaw c’è da dire che il drammaturgo, l’anno dopo, nel 1926, tornò sui suoi passi rispetto al Nobel che finì per accettare ma senza la somma di denaro prevista. Ci sono in giro due teorie sul come abbia suggerito di usare quella cifra. La prima è che abbia invitato l’Accademia a dirottare quei soldi sulla promozione delle relazioni culturali tra la Svezia e l’Inghilterra. C’è chi invece dice che abbia proprio chiesto che quei soldi fossero investiti sulla traduzione delle opere del drammaturgo svedese August Strindberg, dallo svedese all’inglese. Piccola nota su Bernard Shaw che lo vede chiamato in causa anche rispetto agli Oscar: è stato l’unico, fino al 2016 quando lo ha raggiunto Bob Dylan, a ricevere sia un Nobel che un Oscar, nel 1939 per l’esattezza, per la sceneggiatura di Pigmalione diretto da Anthony Asquith e Leslie Howard, adattamento sul grande schermo della sua celebre opera.
Jean-Paul Sartre e il rischio imbalsamazione
A proposito di Nobel, le azioni dello scrittore e filosofo francese Jean-Paul Sartre non hanno certo stupito l’ambiente letterario quanto quelle di Bernard Shaw quando, il 22 ottobre 1964, rifiutò anch’egli il riconoscimento. Sartre aveva già fatto presente, in varie occasioni, di essere contro questo genere di onorificenze. In passato infatti, dopo il conferimento della Legione d’Onore nel 1945, e dell’attribuzione del seggio al Collège de France, aveva sottolineato quanto tali prestigi fossero da lui percepiti come una limitazione della sua libertà di pensiero.
Per declinare l’offerta del Nobel, all’Accademia scrisse: «Il mio rifiuto non è un atto di improvvisazione. Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli, come in questo caso». Di questa sua azione, Eugenio Montale scriveva sul Corriere della Sera che Jean-Paul Sartre non volle accettare gli onori del Nobel per sfuggire alla “imbalsamazione” e al “collocamento prematuro in una nicchia del Pantheon letterario”.
David Bowie, il mancato baronetto della Regina Elisabetta II
È cosa che un giornalista di spettacolo o un addetto ai lavori nel mondo dell’entertainment non deve mai dimenticare: aggiungere il Sir, il Lord o il Dame davanti ai nomi delle personalità insignite di un’onorificenza da parte della Regina Elisabetta II che nei suoi 70 anni di regno, ha benedetto star inglesi e non, della sua approvazione. Pochi sapevano che alla lista folta di Dame, Lord e Cavalieri della Regina in giro per lo show business, ne corrisponde almeno una altrettanto cospicua di personalità che hanno detto no a tali onori.
Grazie alla BBC che, citando il Freedom of Information Act, ha avuto accesso ai nominativi, si è scoperto che i rifiuti sono in totale 277. Tra questi, il nome che era già venuto fuori e aveva suscitato molti clamori è quello dell’indimenticato Duca Bianco David Bowie che sembra aver detto un sonoro e intonato No alla Regina ben due volte, non appena gli fu offerta la possibilità di diventare CBE – Commendatore dell’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico nel 2000 e poi Cavaliere nel 2003.
Nel 2002, un collega di Bowie, Mick Jagger, accettò di diventare Cavaliere e l’autore di Space Oddity inserì il suo nome nella dichiarazione in cui motivava il suo doppio rifiuto: «Non ho mai avuto l’intenzione di accettare riconoscimenti del genere. Sinceramente non so a cosa possano servire. Non sono certo la ragione per cui ho lavorato una vita intera. Non sta a me giudicare le azioni di Mick Jagger. La decisione è sua. Ma questo tipo di cose non fanno per me». A parte il caso clamoroso di Bowie, tra i famosi No alla Regina, spifferati da Downing Street c’è anche quello di Alfred Hitchcock nel 1962.
Il fotografo Boris Eldagsen e l’inganno sulla AI
Ultimo in ordine cronologico tra gli artisti che hanno sabotato il sistema dei premi, destabilizzandone i fondamenti, c’è il fotografo tedesco Boris Eldagsen, colpevole di aver effettivamente svelato le falle dei prestigiosi Sony World Photography Awards, vincendo il primo premio con una foto realizzata grazie all’aiuto dell’AI. Sono mesi che nel mondo e in Italia si dibatte sull’utilità dell’introduzione dell’intelligenza artificiale a vari livelli, tra istituzioni e realtà lavorative e la trovata di Eldagsen non fa che alimentare il dibattito sull’incapacità dell’uomo di distinguere l’operato umano da quello della macchina, soprattutto nell’arte, e aggiunge dubbi su dubbi.
L’immagine con cui il fotografo ha vinto il contest si intitola The Electrician, è un ritratto color seppia che dovrebbe far riferimento agli anni 40 e fa parte di una serie intitolata “Pseudomnesia: Fake Memories”. Una volta ricevuto il Primo premio nella Categoria Creativa, Eldagsen lo ha rifiutato spiegando che ha voluto verificare se i concorsi sono preparati per le immagini AI ed evidentemente non lo sono. Il fotografo infine ha dichiarato: «Partecipando a questi concorsi, voglio fare in modo che gli organizzatori del premio prendano coscienza di questa differenza e creino concorsi separati per le immagini generate dall’Intelligenza artificiale».
I Fuori Lista:
Menzione speciale per dovere di cronaca a due gesti finiti fuori lista perché non abbastanza eclatanti da guadagnarsi la top 5. Premio Molto rumore per Nulla a Bob Dylan per aver prima risposto al Nobel assegnatogli nel 2016 con un “estremamente onorato ma ho altri impegni” tirando su un polverone tra critiche e seguaci, per poi invece cambiare idea e ritirarlo a porte chiuse, a cerimonia blindata qualche mese dopo.
In maniera più coerente ed efficace invece, Tom Cruise, che purtroppo per lui non ha mai vinto un Oscar, ha restituito tutti e tre i suoi Golden Globe guadagnati per Nato il 4 luglio (1989), Jerry Maguire (1996) e Magnolia in segno di protesta contro la Hollywood Foreign Press Association (l’associazione della stampa estera che organizza e assegna questi premi), mancante nel campo della diversity e inclusione tra i suoi membri.