La morte di Berlusconi ha dato una mano a Elly Schelin disinnescando in buona parte la valenza minacciosa della sua prima vera prova difficile dalla vittoria al congresso in poi: la riunione della Direzione che, convocata proprio nel giorno della scomparsa del Cavaliere, è stata spostata a domani.
Prometteva di essere, se non proprio tempestosa, almeno densa di nuvoloni scuri anche se era già certo che, almeno formalmente, tutto si sarebbe risolto senza traumi evidenti. Buona parte di quelle nuvole si sono dissipate semplicemente perché il tempo ha fatto come sempre il suo lavoro. L’intervista esplosiva del nuovo vicepresidente dei deputati Paolo Ciani, esterno al Pd e deciso a restare tale, in aperto dissenso sulla guerra, già non se la ricorda quasi più nessuno.
La defenestrazione di Piero De Luca, decisa su impulso dei campani per indirizzare un segnale ostile al padre governatore della Campania, è una ferita aperta che in Campania sarà difficile ricucire ma per il resto è già stata di fatto digerita. La trasformazione delle esequie del fondatore della destra in una celebrazione in stile monarchico della destra stessa e della “nuova regina” suggeriscono al Pd di serrare i ranghi e alla segretaria di darsi da fare con lena sinora sconosciuta per mettere in piedi un’alleanza in grado di delineare una proposta alternativa a quella della destra. Non è certo una casuale coincidenza se Elly Schlein, dopo aver deciso di disertare la manifestazione di Conte contro la precarietà a Roma inviando solo una delegazione del partito, ci ha ripensato e ha deciso di sfilare di persona.
Se il clima è cambiato, in senso a lei favorevole, la strategia d’attacco della segretaria bersagliata sino a pochi giorni fa da critiche corrosive resta quella già pronta una settimana fa. Proporrà con tutta la solennità del caso una “agenda alternativa” a quella del governo su alcuni punti precisi, tutti sul terreno privilegiato del sociale, per chiarire che il Pd non è né vuole essere solo “il partito dei diritti lgbt”. Ieri, a sorpresa, si è presentata all’iniziativa di Gianni Cuperlo e ha elencato i punti che domani proporrà al partito come terreno di altrettante campagne: sanità, lavoro con il salario minimo come richiesta centrale, Pnrr e lotta strenua contro l’autonomia differenziata.
Sono voci sulle quali la segretaria mira a compattare l’intero partito. E’ certo consapevole dei malumori di Base Riformista, secondo cui il nuovo Pd sarebbe troppo appiattito sulla linea dei sindacati perdendo di vista quel mondo dell’azienda al quale si era invece rivolto in passato. Però sa anche che su questo fronte nessuno può sottrarsi. I punti nevralgici sono soprattutto tre e il principale è l’accusa di scarsa collegialità, più precisamente di decidere tutto con pochi intimi la maggior parte dei quali proveniente da culture politiche diverse da quelle del Pd. Elly prometterà, si impegnerà, garantirà ma quanto sia poi davvero pronta a una gestione meno chiusa e più collegiale lo si vedrà solo nei fatti.
“La pluralità di voci deve restare una caratteristica del nostro partito. Ma dobbiamo evitare di far emergere questa pluralità come elemento di debolezza”, ha detto ieri salomonica. Il problema è che a rimproverarle l’assenza di comunicazione non sono solo le voci parzialmente dissonanti ma proprio quelle di chi al congresso la ha più sostenuta. Poi c’è la guerra, passaggio molto delicato dopo il disastro del voto a Bruxelles, col gruppo diviso e senza indicazioni da parte della segretaria che non ha osato sfidare gli europarlamentari insistendo sulla scelta iniziale di astenersi sulla possibilità di usare i fondi del Pnrr per produrre armi e munizioni per Kiev e per le forze armate italiane. Qui Elly è tra due fuochi, perché l’area pacifista è scontenta per il passo indietro a Bruxelles e la minoranza le rimprovera toni meno bellicosi, in realtà solo in qualche pallida sfumatura, rispetto a quelli di Letta.
La faccenda è spinosa soprattutto perché il dilemma del voto si riproporrà in luglio, quando il Parlamento di Strasburgo in plenaria dovrà votare in via definitiva la legge detta Asap. Per uscire dal vicolo cieco la segreteria pensa di proporre un odg che impegni il governo a non usare comunque i fondi del Pnrr per le armi e sulla base di questo odg o di un altro concordato con la destra che sul punto è sulla medesima linea, chiedere agli eurodeputati di votare tutti a favore di Asap. Non riuscirà a evitare la spaccatura, perché almeno alcuni eurodeputati come Smeriglio e Bartolo, non sono disposti a sostenere quella legge e la stessa scelta di votare a favore di una legge che Elly ha criticato apertamente innescherà nuove polemiche. Il capitolo è tutt’altro che chiuso e la situazione resta difficile.
Poi c’è l’abolizione dell’abuso d’ufficio che evoca una questione di ben altre proporzioni: quella della giustizia. Sull’abuso, la contrapposizione tra partito centrale e sindaci o amministratori del Pd è frontale. Ai secondi la cancellazione dell’abuso, bersagliata con toni molto al di sopra delle righe dal vertice nazionale, va benissimo e lo dicono apertamente. Qui la distinzione tra maggioranza e minoranza non rende ragione della divisione. Molti esponenti della minoranza, dalla ex capogruppo Serracchiani a uno dei principali esponenti cattolici come Alfredo Bazoli, sono sulla stessa linea della segretaria. Ma la spaccatura sull’abuso d’ufficio, che pure sarà evocata in direzione, è un primo scricchiolio. Senza più il cemento dell’antiberlusconismo, le divisioni in realtà profonde interne al Pd sulla giustizia sono destinate a emergere presto.