Per Piercamillo Davigo è la parabola più triste. L’ex l’ex componente del Csm ma soprattutto membro di punta del pool milanese di Mani Pulite, è stato condannato in primo grado dai giudici del tribunale di Brescia a un anno e tre mesi di reclusione (pena sospesa) con l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio in merito ai verbali dell’avvocato Piero Amara sulla presunta Loggia Ungheria.
Questa era, secondo quanto fatto mettere a verbale da Amara, un’associazione segreta che sarebbe stata in grado di pilotare nomine nella magistratura e nei più importanti incarichi pubblici.
Verbali sulla Loggia che in pieno lockdown il pm milanese Paolo Storari (già assolto in abbreviato per la stessa vicenda) aveva consegnato a Davigo per autotutelarsi, a suo dire, di un freno messo alle indagini dai vertici del suo ufficio inquirente di Milano, in particolare del procuratore Francesco Greco e della sua vice Laura Pedio. La sentenza è stata letta dal presidente della prima sezione penale Roberto Spanó con la presenza in aula del procuratore capo di Brescia Francesco Prete. Assente, invece, Davigo.
L’ex pm dovrà inoltre risarcire con 20mila euro Sebastiano Ardita, l’unica parte civile nel processo. La procura di Brescia aveva chiesto per Davigo una condanna a 16 mesi di reclusione.
A caldo è arrivata anche la reazione dell’avvocato difensore di Davigo, Francesco Borasi, dopo la lettura della sentenza di condanna del suo assistito. Sentenza che per il legale “è un errore giuridico e un errore di fatto, presenteremo appello”.
Questa mattina il difensore di Davigo aveva chiesto l’assoluzione per il suo assistito. “Chiediamo l’assoluzione con la più ampia formula liberatoria“, aveva spiegato nella sua arringa l’avvocato Domenico Pulitanò, che con Francesco Borasi difende Davigo. I difensori dell’ex membro del Consiglio superiore della magistratura aveva sostenuto che fosse “insussistente” il presunto ingiusto danno provocato dalla circolazione dei verbali di Amata, alla parte civile, il magistrato Sebastiano Ardita.
“Era l’unica sentenza possibile nel rispetto della legge, davanti a un reo confesso non si poteva far finta di niente“, afferma invece l’avvocato Fabio Repici, che ha tutelato gli interessi dell’ex consigliere del Csm Sebastiano Ardita. Per il legale “c’è stato un tentativo di golpe ai danni del Consiglio superiore della magistratura e il consigliere Ardita era stato visto come uno dei pochi ostacoli” contro cui scagliarsi. “Oggi bisognerebbe ringraziare Ardita per aver mantenuto la dignità dell’Organo di autogoverno della magistratura, senza un ruolo nel quadriennio e senza l’impegno di pochi altri di tutela delle istituzioni, oggi probabilmente se quella operazione fosse riuscita ci troveremmo davanti a una giustizia più sbandata“, conclude Repici.